Un secolo di Fenoglio. Perché è ancora solo e incompreso?

Cantore della Resistenza e dei partigiani, ma come uomini fallibili non come eroi. L’irrisolto e inquieto Beppe Fenoglio, a cento anni dalla nascita, è ricordato e celebrato, ma non ancora abbastanza amato e letto. Era avanti di decenni, anche nelle sue opere meno note. Già ne “La paga del sabato”, primo libro che scrisse ma ultimo a essere pubblicato, postumo, c’erano i suoi temi e la cifra distintiva della sua scrittura

A cento anni dalla nascita di Beppe Fenoglio, morto a quarantuno anni non compiuti, vi ricorderanno di Una questione privata, che nei decenni è probabilmente svettato come archetipo dell’opera dello scrittore di Alba. Vi sezioneranno Il partigiano Johnny, incompiuto, disincantato e struggente, ma centrale nel lavoro di Fenoglio. Vi diranno dell’importanza de I ventitré giorni della città di Alba, mitico esordio, raccolta di racconti nei Gettoni di Vittorini. Il cantore della Resistenza italiana, Beppe Fenoglio, è passato alla storia come una specie di Omero dell’epopea partigiana nelle Langhe, un’epica iperbolica, dallo stile originale, colmo di anglismi e neologismi, dallo sguardo romantico, intriso di eros e thanatos, senza dimenticare un certo tono ironico e dissacrante. E naturalmente queste sono tutte cose che fanno parte del suo identikit. Però Fenoglio, nonostante lo status di classico moderno, sconta ancora una sottile forma di solitudine, la stessa che lo circondava da giovane promettente scrittore prima della morte prematura. Nonostante le celebrazioni, sebbene abbia scalato le graduatorie del gradimento di critica (e degli scrittori, si pensi a Veronesi che nel suo Il colibrì confessa di aver scritto una cover de Il gorgo, racconto dello scrittore di Alba) e, forse, dei lettori, è ancora in parte incompreso. In linea con un trend di elogi e critiche che lo ha accompagnato in morte, come in vita, quando scriveva principalmente di notte e fumando senza tregua.

Un libro in cui c’è tutto

Un suo libro davvero incompreso, prima ancora che dagli altri forse anche dal suo stesso autore, è La paga del sabato (132 pagine, 10 euro). Bastò qualche piccola riserva in un giudizio positivo di Calvino per “smontare” Fenoglio, bastarono certi consigli e perplessità di Vittorini (che lo definisce “cartonaccio cinematografico”) a convincerlo a riprenderlo in parte altrove, smembrandolo. Avrebbe visto la luce compiutamente solo postumo, pubblicato da Einaudi nel 1969, grazie a Maria Corti (una a cui dovrebbero intitolare piazze e biblioteche…). Eppure l’irrisolto e inquieto Fenoglio aveva già scritto se non tutto, molto proprio ne La paga del sabato, con una lingua che era avanti di decenni, musicale e precisa. Ci sono la lotta partigiana e la delusione post-bellica, l’amore (del protagonista Ettore per Vanda), il desiderio di libertà e un tragico destino. Ettore finirà invischiato in traffici illeciti, considerati inevitabile anticamera di un lavoro onesto: impossibile considerarsi un individuo come gli altri, dopo aver lottato da partigiano…

Io non mi trovo in questa vita perché ho fatto la guerra. Ricordatene sempre che io ho fatto la guerra, e la guerra mi ha cambiato, mi ha rotto l’abitudine a questa vita qui. Io lo capivo fin d’allora che non mi sarei poi ritrovato in questa vita qui. E adesso sto tutto il giorno a far niente perché cerco di rifarci l’abitudine, son tutto concentrato lì.

Attacchi e polemiche

Tra un sentimento di sfiducia e ostilità che gli pioveva addosso da più parti, resistenze interne alla stessa Einaudi (che lo convinsero a traslocare alla Garzanti), attacchi della critica, soprattutto di certe firme di sinistra accecate dall’ideologia – perché Fenoglio imbastiva i propri libri con zero retorica e, dunque, i partigiani non erano eroi privi di macchie, di una guerra sempre e comunque giusta, ma uomini anche vili, anche deboli – perfino polemiche con Pasolini (quest’ultimo non perdonò Fenoglio, collega di casa editrice, per aver gareggiato allo Strega 1959, poi andato a Tomasi di Lampedusa), che faceva le pulci a certi suoi testi e lo avrebbe stroncato definitivamente a dieci anni dalla morte. In questi ultimi anni Fenoglio è stato risarcito, letto, amato, ma forse non abbastanza.

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