Il feroce identikit di un femminicida, la “profilassi” di Orofino

I romanzi come “Nessuno mi salverà” di Alessandro Orofino possono essere validi strumenti dell’attività di prevenzione contro il “virus” dei femminicidi. Un uomo ha appena ucciso la moglie ed è in auto con le due figlie gemelle. La polizia è pronta a intervenire. Dentro la narrazione, apparentemente, tanti stereotipi, ma non si sono luoghi comuni negli elementi che conducono all’omicidio della donna “amata” 

Una delle mie serie televisive preferite è la statunitense “Criminal Minds”. Protagonista l’unità di analisi comportamentale dell’FBI, impegnata di volta in volta a sventare crimini, talvolta anche seriali, commessi non da delinquenti o criminali comuni, bensì da “SI” (tradotto: soggetti ignoti), ovvero insospettabili brave persone della porta accanto che, a un certo punto della loro vita, “sclerano di brutto”. Mi sarebbe sempre piaciuto avere tra le mani la sceneggiatura di uno di quegli episodi. Non mi è fin qui capitato, ma con Nessuno mi salverà (168 pagine, 15 euro), ultimo romanzo di Alessandro Orofino, edizioni Pathos, sono andata molto, molto vicino dal realizzare il desiderio. Il romanzo è costruito con la ben rodata e sempre validissima tecnica della alternanza tra presa in diretta e flashback.  Uno schema che consente di tracciare efficacemente ogni sfumatura della trama, dai prodromi del frammento di presente di cui siamo resi spettatori in apertura, all’esito finale, che intuiamo, in questo caso, sarà un sipario calato drammaticamente su una vita o addirittura su più d’una.

A fin di bene

“I titoli di testa” frappongono ancora qualche indugio all’inizio dell’azione. Giusto il tempo di informare lo spettatore –pardon – il lettore di una caratteristica peculiare ed encomiabile della casa editrice Pathos: l’essere “sempre vicina a chi è in difficoltà, in particolar modo ai bambini, agli anziani e agli animali”, tanto da devolvere parte del ricavato della vendita dei libri in catalogo a tre Associazioni Onlus attive negli ambiti citati. Lo avvertono, altresì, che quest’opera è un “lavoro di finzione basato su interviste, fatti, articoli e informazioni di pubblico dominio. Alcuni eventi, personaggi e dialoghi sono fittizi. Ogni somiglianza è puramente casuale”.

Mani grondanti di sangue

Sfumata la sigla, eccoci letteralmente scaraventati al centro della scena. Siamo nell’abitacolo di una Fiat bianca. Due bambine. Gemelle. Identiche. Una in lacrime, l’altra strenuamente trattiene i singhiozzi. Nessun dubbio che entrambe siano terrorizzate. Sebbene piccole, hanno perfetta consapevolezza sia dell’entità della tragedia appena consumatasi, sia del fatto che siamo solo all’inizio della macabra avventura. Un individuo, disperato, anzi di più, delirante le tiene in ostaggio. Quell’uomo, con le mani ancora grondanti del sangue di sua moglie, è il loro papà. 
Fuori, sfumato sullo sfondo, il mondo fermo in attesa. Le auto della polizia con le luci lampeggianti e i negoziatori con gli occhi puntati sull’automobile, pronti ad intervenire. Appunto una tipica situazione alla “Criminal Minds”.

Passaporto per l’età adulta

Il nostro SI si chiama Francesco. Estrazione socioculturale medio bassa, privo di una adeguata istruzione, ha vissuto una giovinezza simile a quella di molti altri suoi coetanei. In mancanza di prospettive, in attesa di una non meglio definibile “svolta”, si è alimentato dei vacui clichè da divertimento del fine settimana propri di una certa gioventù: discoteca, bevute e tentativi di approccio, spesso infelici, all’altro sesso. Le gemelline, Melissa ed Elisabetta, sono state il suo passaporto per l’età adulta. La paternità, in fondo, lo ha fatto diventare – consentendogli di realizzare l’aspirazione massima – uomo secondo la definizione conforme al più reazionario sentore comune. Si è assunto le responsabilità del ruolo e le ha gestite con abnegazione. Sacrifici spesso raddoppiati per sopperire all’inconsistenza del partner nell’adempiere ai propri doveri. Zdenka, la moglie, ora la sua vittima, era una ragazza dell’est emigrata in Italia per lavorare e costruirsi una vita libera, appagante. Bellissima, volitiva, frustrata dalle mansioni di moglie e di madre, che sentiva non coincidenti con le sue aspirazioni, si era rivelata ella stessa deludente agli occhi di lui, poiché incapace di partecipare al progetto familiare, mai stato forse veramente comune.

Una madre inconsueta

Quella compiuta da Alessandro Orofino nelle pagine del romanzo (qui è possibile leggerne un estratto) è la cronaca di un epilogo annunciato. La vittima del femminicidio, evento dal quale si innesca il romanzo, è una donna che preferisce le uscite con le amiche alle gioie semplici della maternità. Lascia spesso e volentieri che il marito si faccia carico di entrambe le funzioni: quelle materne e quelle paterne. È forse per quel suo essere straniera dell’est? Risiedono forse in quel bagaglio legato alle origini le radici del suo egoismo, del deficit di cura verso gli altri, del temperamento individualista, della costante fame di indipendenza? Certo è una figura materna assai inconsueta rispetto a quella di genitrice mediterranea convenzionale.  
La voce fuori campo che riporta seccamente la cronaca dei fatti, riferisce con altrettanta oggettività i pensieri di Francesco. Pare francamente deporre a sfavore di Zdenka.

Nessuna empatia per l’assassino

Senza sottotitoli, infatti, senza l’aggiunta di spiegazioni o di giudizi, ad un occhio superficiale, Nessuno mi salverà può dare l’impressione di procedere per stereotipi di genere. Di incunearsi su pregiudizi legati alla nazionalità, e attraverso essi, seppur involontariamente, indurre a simpatizzare con il reo. Tutt’altro. Ancora una volta il parallelo con “Criminal minds” mi torna utile. Nulla di quanto Orofino scrive, entrando nella psicologia del personaggio, è strumentale a sollecitare una qualche forma di empatia verso l’assassino, a giustificarlo o infine a precostituirgli delle attenuanti. “Lavoro di finzione basato su interviste, fatti, articoli e informazioni di pubblico dominio”. Lo si premetteva all’inizio. Resta qui dimostrato.

Una sovrastruttura ideologica

Orofino, proprio come fosse un componente della mitica unità di analisi comportamentale dell’FBI, non ha fatto altro che profilare il colpevole. Ha tracciato l’identikit di un femminicida utilizzando i dettagli psicologici, culturali e comportamentali tipici comuni, espunti anche dalla cronaca giudiziaria, e lo ha sovrapposto alla sagoma di Francesco, trovandovi una fedele corrispondenza. Nessun degli elementi – siano essi fatti, condotte, opinioni, omissioni, perfino sogni giovanili e false aspirazioni – che conducono all’assassinio violento della donna “amata”, rappresenta mai un banale e innocuo luogo comune. Fa sempre parte di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale che è potenzialmente una miccia, capace di deflagrare improvvisamente senza margini di contenimento. Impossibile limitare i danni se non con azioni di prevenzione mirate. I romanzi come Nessuno mi salverà possono essere validi strumenti dell’attività di profilassi.

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