Gigantesca erudizione e cristallina genialità, chiaroveggenza intellettuale, senza scorie intellettualistiche nel “Don Chisciotte e San Francesco. Due pazzi necessari” di José Antonio Merino, libro originale e di grande intelligenza. L’errabondo Cavaliere e il Giullare di Dio divengono strumenti autoptici coi quali si cerca di scandagliare la morte spirituale di noi, mediocri spettatori del loro folle e meraviglioso dramma umano
Di roba su San Francesco e Don Chisciotte ce n’è veramente tanta, tantissima, forse troppa. Più d’una volta, tra sacri slanci e profane recensioni, se n’è parlato anche qui in qualche articolo. Quindi, quando ci si trova davanti all’ennesima variazione sul tema si rimane quanto meno sospettosi: si prende in mano fratello libro con lo stesso realismo di Sancho, sapendo che ci si potrà attendere di tutto. Meno un argomento è letto e conosciuto, più se ne parla. E questa cosa, alla lunga, lascia le sue tracce nella più sconcertante banalità.
Pertanto, prima di scrivere due righe su quest’ultima mia lettura, vorrei raccontarvi innanzitutto come mi è finita tra le mani.
Lo stesso regalo. In doppia copia
Una volta tanto il libro non mi è stato spedito perché lo recensissi (cosa che, dunque, sto facendo motu proprio, per un ricapitolativo dovere di gratitudine), né l’ho acquistato perché attratto da qualcosa in particolare. Semplicemente, mi è stato regalato. Come tante volte avviene.
Ma questo è un caso unico, che merita attenzione.
Dopo un viaggio ad Assisi, due ragazze che si sono trovate a godere di quel luogo meraviglioso, si sono imbattute in questa pubblicazione e hanno deciso di farmene dono.
Oh, intendiamoci: non è che l’abbiano visto e si siano dette «Regaliamogli questo libro»; no, niente affatto. Ciascuna delle due – autonomamente – lo avrà visto, lo avrà preso tra le mani, gli avrà dato un’occhiata e poi avrà pensato: “Forse gli piacerà; ma sì, voglio fargli questo regalo”. E il tutto senza sapere che l’altra amica, poco prima o poco dopo, avesse o avrebbe fatto lo stesso acquisto per il medesimo fine e l’identico destinatario.
Figuratevi quando, al loro ritorno dal viaggio, me le sono viste spuntare – a distanza di un giorno l’una dall’altra – con quel pacchetto tra le mani.
«Questo è per te!».
Immaginate la mia sorpresa nello scoprire che si trattava dello stesso libro! Don Chisciotte e San Francesco. Due pazzi necessari. Di José Antonio Merino (Edizioni Messaggero Padova, 151 pagine, e il prezzo non lo so perché, essendo un regalo, anzi due, c’hanno messo il bollino sopra).
Una soluzione salomonica
Ora, dove sta il nodo interessante della questione?
Nel fatto che questo libro, regalatomi tanto da Emma quanto da Sofia, parli tanto di Don Chisciotte quanto di San Francesco. Una dualità che mi ha condotto ad un’altra! Passando per quella ulteriore dei due libri che, evidentemente, ho letto entrambi (un capitolo dall’uno e un capitolo dall’altro).
Insomma, sembrava proprio che – fin dall’inizio – non solo non avessi scelta ma, addirittura, fossi proprio guidato dagli eventi fino all’essenza di un testo che, credetemi, finalmente superava di molte, moltissime spanne tutta quella gran roba francescanista e chisciottesca che affolla le librerie. Non che io abbia letto tutta la produzione letteraria dedicata ai due personaggi, per carità; ma posso facilmente tracciare una statistica (quantomeno personale) di qualità sul materiale con cui sono entrato in contatto; e mi ripeto, col rischio di ripetermi, quando dico che chiunque, veramente chiunque (almeno così pare) sembrerebbe avere da parte un libro pronto sul Mancego o sull’Assisiate.
E invece questo testo no! È davvero uno dei libri più intelligenti (non solo sull’argomento, ma proprio in generale!) che io abbia mai letto.
Un libro intelligente
E da cosa si riconosce un libro intelligente?
Innanzitutto dall’originalità che, a dispetto dei personaggi, i quali magari credi già di conoscere abbastanza bene, è capace di darti una nuova visione di tutto, senza che questa novità appaia necessariamente come qualcosa di rivoluzionario e capovolgente! L’originalità si accompagna al classico: sa cambiare la storia di qualcosa senza stravolgerla. L’originalità è quella forza di pensiero performante capace di eseguire il check-up di cui ogni opera classica ha bisogno, ovvero mettere in pratica il suo intrinseco semper reformanda, per riconsegnarla alla novità della sua sostanza.
Apparentemente distanti
Poi dall’immaginazione che, appunto, mette insieme due personaggi apparentemente così distanti eppure (e lo scopri leggendo, e ti auto-consegni un tapiro d’oro per non averci pensato prima!) talmente contigui da arrivare a pensare ragionevolmente che nessuno dei due sia troppo autenticamente storico o inventato. L’immaginazione dell’Autore, cioè, che si è trovata a dover gestire un’illuminatissima intuizione, ha creato uno spazio letterario tale da poter contenere due personalità non solo così incalcolabili in grandezza ma che, sommate tra loro, diventano (proprio come Sofia ed Emma) molto più della loro somma. Ed è incredibile come ciò riesca a stare dentro a così poche pagine! Ci sono libri di mille pagine che, dopo averli letti, ti danno l’impressione che sia stata una chiacchierata di una mezzoretta con l’autore; ed altri libri, così brevi come questo, che ti lasciano invece la sensazione di aver dedicato un intero anno della tua vita girando per congressi, biblioteche e seminari! Entrambi gli esiti sono maestosi, perché provano come ogni buon libro sia – di fatto – la prova cosmologica che la fisica non può fermarsi agli atomi, ma arriva fino a quelle particelle dove spazio e tempo diventano concetti senza senso. Queste particelle sono le parole, quelle usate con la saggezza di chi è appassionato.
La divina visionarietà
Poi, ancora, la non classificabilità dell’opera, sulla quale ogni possibile etichetta andrebbe a cozzare con la smisurata personalità dei suoi protagonisti. Già è tanto mettere insieme Don Francesco e San Chisciotte senza confondersi; immaginate cosa sarebbe doversi mettere a classificare un’opera del genere! Non sapresti su quale scaffale riporla, se su quello di filosofia o su quello di psicologia, o di genere spirituale, o di critica letteraria o di storia! Personalmente, disponendo di due copie anagraficamente gemelle, mi godrò l’immenso piacere di potermi giocare almeno due opzioni (ma non ho ancora deciso quali).
Le associazioni di idee! Altro marcatore della genialità di Merino, che sul più bello salta da una citazione all’alta dandoti l’impressione che – in effetti – tutto lo scibile letterario non abbia aspettato altro che poter dire la propria su quei due personaggi! Naturalmente non è così, ma vi è un punto forte nella testa di Merino, e non è il concordazionismo letterario coatto bensì quella stessa capacità di astrazione che hanno i bambini (la stessa divina visionarietà dei nostri due anti-eroi), ovvero il fatto che talvolta, inaspettatamente, i piccoli ci stupiscano con quei voli pindarici che li portano da una cosa all’altra in un tempo superluminale rispetto a quello ingrippato degli adulti! E ti dicono con sciolta sentenza che… a Dio la Apple non piace. Tu gli chiedi come mai e loro ti rispondono che la maestra ha raccontato loro la storia di Adamo ed Eva. E tu ti ritrovi in un attimo nella testa di Steve Jobs, e ci trovi i tuoi bambini che ci hanno piantato una bandiera mille anni prima di te e se la ridono!
Ecco, Merino è così! Fa associazioni di idee che, di volta in volta, appaiono delle derivate della sua gigantesca erudizione ed altre volte della sua cristallina genialità: una vera e propria chiaroveggenza intellettuale, senza peraltro nessuna scoria intellettualistica.
Un libro per tutti
La leggibilità, altro punto forte! Il libro, quantunque proponga talvolta parole giusto un po’ più ricercate e concetti senz’altro profondi (beh, sì, non stiamo parlando proprio di testi sanremesi), non è appannaggio di dotti accademici ma, al contrario, può essere una lettura per tutti (dove i “tutti” sono quelli che normalmente sono dediti alla lettura); anzi, oserei dire che una delle qualità di questo libro è quello di ricoprire una funzione psicopompa, accompagnando gli spiriti dei lettori dai loro generi prossimi alle differenze specifiche di altri settori della letteratura magari fino a quel momento inesplorati. Per esempio, uno che normalmente leggesse di filosofia o antropologia potrebbe sentir sorgere il desiderio di qualche segreto sprofondamento nell’agiografia, così, giusto per cambiare aria; la stessa cosa potrebbe (provvidenzialmente) capitare a certi lettori pinzocheri che, dopo aver letto sempre e solo vite dei santi, ad un certo punto potrebbero trovarsi convertiti alla ricerca di qualche classico! E così via. Sì, è un libro triviale che sa stare benissimo ai crocicchi.
Merino parte dalla descrizione antropologica dei typoi (e di come questi si incontrino nella storia come nella letteratura), si sofferma sul concetto di genio (e fa venir voglia di rileggersi Hillman), e poi comincia con l’analisi onnicomprensiva dei due personaggi che vengono mostrati in sincrono per poi scendere diacriticamente all’interno dei loro spazi specifici.
Riflettori su Sancho Panza
Ciò che sconvolge, ciò che fa bene, ciò che diletta il lettore nella forma più pura di questo diletto, è la modalità usata da Merino: per spiegare Don Chisciotte usa San Francesco; per spiegare San Francesco usa Don Chisciotte! Per spiegarli entrambi, alla fine del libro, concede uno spazio inusitato e commovente a Sancho Panza del quale mai, da nessuna parte, ho mai letto cose così belle e appassionate, così nobilitanti e profonde!
Naturalmente, però, i veri oggetti della ricerca umana dell’Autore siamo proprio noi che ne leggiamo il libro: l’errabondo Cavaliere come pure il Giullare di Dio divengono, ad un certo punto della lettura, gli strumenti autoptici coi quali si cerca di scandagliare la morte spirituale di noi, mediocri spettatori del loro folle e meraviglioso dramma umano. Alle prime meraviglie ci si sente rinascere, si sente vibrare il piombo dei nostri cuori scoprendo che Don Chisciotte e San Francesco, adesso strumenti alchemici, ci stanno trasformando in oro! Ai tre quarti del libro si è così dentro al senso di quest’opera meravigliosa che ci si sente pienamente parte tanto del Cantico delle Creature quanto delle visioni oniriche e trasfiguranti dell’ispirato Hidalgo.
Insomma, una lettura che davvero potrebbe piacere e giovare a tutti, un libro talmente profondo dal punto di vista spirituale e religioso da non essere mai né nichilistico né fideistico, così da abbracciare tanto l’ateo come l’uomo di fede perché, semplicemente, non è rivolto a nessuno dei due in particolare, ma all’uomo; un’opera che – letterariamente più che letteralmente – produce letteratura poiché formula un linguaggio capace di “farci essere” letteratura, di farci entrare in essa e nelle sue incalcolabili connessioni, scoprendo che un libro è solo un neurone, una sinapsi capace di collegarci a mille altri mondi, e che questi mondi – appartenenti ad un Lógos trascendente – sono capaci di restituirci il senso delle cose arricchito da prospettive insospettabili nella loro molteplicità.
Moltiplicare
Quando cominciai a leggere pensavo: “Chissà chi, tra Emma e Sofia, somiglia più a Don Chisciotte o a San Francesco”. Mi dilettavo in questo gioco di dualità, convincendomi che non doveva essere un caso il fatto che questo libro, regalatomi in duplice copia da due ragazze così diverse e così simili, parlassero di due personaggi così lontani e così vicini.
Quando finii il libro mi scoprii sconfitto nelle mie piccole e giocose intenzioni iniziali. Questa lettura mi aveva mostrato molto più di quanto non avessi congetturato: mi aveva fatto vedere quanto di Don Chisciotte e di San Francesco ci fosse tanto in Sofia quanto in Emma, e in ciascuno di noi. Già perché la letteratura, quella buona, quella veramente capace di usare i segni giusti, non somma mai, né mai divide. Moltiplica.
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