I “pezzi” di Famà, dalla quotidianità a una realtà altra

Lingua mai banale e personaggi sopra le righe caratterizzano “L’invidia per la sfera”, oggetto narrativo del catanese Antonio Famà, “teatrino immaginario” dell’autore, viaggio in cui perdersi felicemente per il lettore

L’invidia per la sfera è un macigno negli stagni quieti dell’ovvio letterario, del già detto, del già letto. Il volume di Antonio Famà, classe 1974, contiene venti “pezzi”, non si sa se definirli capitoli o racconti: sono come le tracce di un disco straniante, dal suono distorto, che ci parla di una realtà altra, partendo dalla quotidianità in presa diretta di uno scrittore. Lungo le pagine, come dichiarato in una sorta di avvertenza dall’autore, va in scena un “teatrino immaginario”, che è “gioco, titillo e terapia”. Promessa mantenuta.

Il fertile humus

Questo libro del catanese Antonio Famà è nato e cresciuto nel fertile humus di una giovanissima casa editrice indipendente. La Nous ha circa un anno e mezzo di vita, un trio femminile (Chiara Sicurella, Roberta Di Bella e Giuditta Busà) al timone e l’entusiasmo delle imprese audaci. O almeno così pare a un lettore che non bada solo all’autore e alla storia che racconta, ma anche alla veste con cui è presentata, alla cura editoriale, alla dedizione artigianale; tutte qualità che non mancano a questa che non è la prima prova narrativa di Famà (nella foto fra Chiara Sicurella e Giuditta Busà). La sigla con sede a San Giovanni La Punta, nella provincia etnea, ha ancora pochi titoli all’attivo ma tutti si distinguono per attenzione ai dettagli e originalità.

Puzzle fantastico e metafisico

Un po’ fantastici, un po’ metafisici, i pezzi che compongono il puzzle complessivo di Famà si nutrono di personaggi sopra le righe – il libraio Isidoro Weiss, l’astronauta Ian Ordovick, Ostraka, una donna scomparsa nel nulla (“Da anni non hanno più mie notizie e da anni apprezzo la fedeltà di mio marito che non ha lasciato che nessun’altra donna”), e poi Silvia e Arturo Frassinelli, imparerete a conoscerli – e di una lingua mai banale. Un libro del genere non va svelato troppo, va assaporato, poco a poco. Come felicemente è stato definito, si tratta di un viaggio. Ma non uno di quei viaggi super organizzati in cui ogni passo è programmato, scandito all’eccesso. No, un viaggio in cui perdersi gioiosamente.

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