Uno studente e una studentessa sono ingiuriati, vessati e torturati. Nell’indifferenza del mondo degli adulti. Ecco cosa si legge in “Heaven”, romanzo della giapponese Mieko Kawakami che non ha paura di sviscerare le aberrazioni di una generazione
“Quel tavolo e quel vaso possono essere malridotti e pieni di graffi e ammaccature in superficie, ma non sono mai feriti dentro”. […] “Mentre noi, all’esatto contrario possiamo essere terribilmente feriti all’interno e non mostrare niente all’esterno. Spesso le nostre ferite sono invisibili”. […] Se continuiamo così, se lasciamo che gli altri ci facciano tutte quelle cose senza dirlo a nessuno, senza parlare, credi che un giorno potremo diventare anche noi dei semplici oggetti?”
La giovane Kojima parla a un compagno di classe. Due vittime gemelle, due anime rotte si avvicinano e si confidano, sono entrambe figli di genitori assenti e prede di coetanei aguzzini che trascorrono buona parte delle giornate a prenderli di mira, a offenderli, a metterli in ridicolo, a costringerli a “giochi pericolosi”, è in particolare il ragazzo a essere umiliato a più riprese, schernito senza tregua, bullizzato. Ha la sola colpa d’essere strabico (la ragazza di vestire sempre in modo trasandato), viene chiamato Occhi Storti. Gli mettono gessetti nelle narici, glieli fanno mangiare, lo rinchiudono in un armadietto, gli fanno trovare spazzatura sotto il banco, lo torturano fisicamente, oltre che psicologicamente. Lui è la voce narrante di Heaven (248 pagine, 17 euro), romanzo della giapponese Mieko Kawakami, precedente a Seni e uova (ne abbiamo scritto qui), ma tradotto dopo, sempre per le edizioni e/o, nella traduzione di Gianluca Coci.
Lettere e incontri contro violenza e omertà
Prima il rapporto epistolare, poi l’amicizia, gli incontri segreti con Kojima sono un balsamo di bellezza e sincerità, in cui i due si sentono liberi e protetti, possono parlare di qualsiasi cose, dei guai familiari, di Dio, di quello che subiscono e riescono a sopportare, atti incomprensibili che sono “uno sfogo, un diversivo”, per gente senza immaginazione, ragazzi che “non pensano, sono tutti uguali” e che “individualmente sono nullità”. Kojima in una lettera si spinge a dire che “io e te siamo loro vittime, am secondo me anche loro sono vittime di qualcosa di molto più grande”. Mieko Kawakami, con la maestria che aveva già sfoggiato in Seni e uova, posa il suo sguardo sul bullismo (“ijime” in giapponese) e sull’omertà, dimostra di sviscerare le menti e i corpi dei suoi personaggi, di leggere nelle anime di una generazione, non ha paura d’essere cruda, di registrare vessazioni e aberrazioni, di indagare dinamiche di gruppo che sono più frequenti di quanto si possa immaginare e non solo nel paese del Sol Levante, o nei primi anni Novanta, quando è ambientato il romanzo.
Quanti potenziali lettori…
Dopo l’ennesima straziante azione punitiva subita dall’amico, Kojima (ben più di una semplice coprotagonista) a modo suo prova ad aprirgli gli occhi: “… resistiamo, combattiamo. Perché c’è una precisa volontà dietro il nostro comportamento, il nostro consenso è volontario, attivo. In poche parole è una scelta. E tutto questo mette loro addosso una paura e una pressione indicibili, non possono più concederci la minima libertà e sono costretti ad aggredirci di continuo. Sono come bestie spaventate, impazzite, fuori controllo…”. Una di queste, l’ambiguo e misterioso Momose, interrogato dalla vittima sfoggia nichilismo e una sostanziale indifferenza, interrogato dal protagonista, affida le ragioni delle violenze al caso, spiegando che “la morale esiste sole nelle favole”. Una lettura ideale ad ampio spettro: insegnanti, educatori, genitori, adolescenti, i potenziali lettori di questo romanzo sono parecchi. Che c’entra il paradiso, vi chiederete? Si fa in fretta a capirlo, nel romanzo, non un luogo, non un tempo, ma un quadro in un museo che è come un cassetto segreto delle aspirazioni, lontane dal dolore e dalla paura…
È possibile ordinare questo e altri libri presso Dadabio, qui i contatti