Una sociologa, protagonista de “La verità su tutto” di Vanni Santoni, mette alle spalle la propria vita per un percorso di ricerca mistico-religiosa che la condurrà a diventare la santona di più comunità di adepti nel mondo. Un romanzo promosso a pieni voti, dallo stile dinamico. dalla trama avvincente, in cui riecheggia il pensiero di maestri di misticismo e spiritualità
La verità su tutto (303 pagine, 19,50 euro) di Vanni Santoni, Mondadori, è il titolo del momento. Sulla bocca di tutti, pluri-recensito, con un robusto calendario di presentazioni – virtuali e dal vivo – in corso, può rappresentare per me, che mi accingo a scriverne, una vera e propria Caporetto, una fiera del già detto, nonostante, al fine di preservare una certa originalità e autonomia di giudizio, mi sia guardata bene dal curiosare tra recensioni e pareri altrui. Ignoro, dunque, se altri siano ricorsi alla locuzione nomen omen per rompere in ghiaccio: chi meglio di Santoni può parlare di santoni? Non ci credo di averlo scritto davvero! Confido nel sense of humor dell’autore, nonché nella benevolenza del direttore di LuciaLibri affinché sorvolino sulla mia incontinenza, sebbene la facezia fornisca realmente un indizio relativo al tema del romanzo, che ha a che fare con la spiritualità.
Diventare una divinità
La verità su tutto narra, infatti, di Cleopatra Mancini, sociologa e accademica, la quale, a causa di una suggestione sull’emendabilità del male, trasudata casualmente durante la visione di un porno – abitudine morbosa utilizzata per decomprimere emozioni negative e tenere a bada inveterati sensi di colpa – lascia di punto in bianco la solidità di una vita impostata a modino, e intraprende un periglioso percorso di ricerca mistico/religiosa nel corso del quale diventerà Shakti Devi, ossia una divinità: non una semplice adepta di primo livello, bensì la santona al vertice – corèggente insieme alla compagna Kumari Devi – di molteplici comunità sparse nel mondo.
Vanni Santoni è uno dei più energici protagonisti della scena letteraria contemporanea. Romanziere dotato, divulgatore egregio, critico accurato, rappresenta un punto di riferimento per lettori a caccia di qualità, per scrittori desiderosi di confronti e per aspiranti tali in cerca di consigli.
Evoluzione
Quella di portavoce è una definizione da maneggiare sempre con cautela. Quando attribuita da sé stessi, finisce per essere etichetta stigmatizzante, come tutte quelle che evocano il fumus di un’arrogante autopromozione. Neppure giova quando è conferita da altri. Accreditando qualcuno della massima competenza ad esprimersi in nome di una categoria, si finisce per ingabbiarlo entro un perimetro oltre il quale la sua credibilità in relazione ad ogni altro argomento può sembrare traballante. Per tali ragioni mi censuro. Malgrado pochi come lui abbiano indagato con altrettanta perizia e consapevolezza il mondo delle droghe, dei free party, della musica elettronica underground e dei giochi di ruolo, per evitare di cristallizzarlo in un ben specifico ambito, non mi riferirò a Santoni come all’ambasciatore delle generazioni che hanno sperimentato la giovinezza a cavallo dei due millenni. Tutto e tutti, infatti, evolvono. Così è per Santoni, che ora lavora su personaggi proiettati nell’età di mezzo con altrettanta cognizione di causa. I fratelli Michelangelo dell’omonimo libro pubblicato nel 2019 – riconversione di Santoni al romanzo classico – sono i primi a sbarcare nel mondo degli adulti. Tocca adesso, ne La verità su tutto, a Cleopatra Mancini -che insieme ad Emma, la sua ex, viene da lontano, dal romanzo ibrido Muro di casse e dal racconto Emma&Cleo – lasciarsi alle spalle la mitica gioventù. Ormai ex precaria – i dati anagrafici “cantano” – valica le soglie della maturità e in un percorso coerente con il suo bagaglio di conoscenze affronta i capitoli successivi delle complicazioni e degli sfaldamenti esistenziali.
Quei grandi maestri
Chi conosce Vanni Santoni e lo segue anche via social ha familiarità con gli argomenti da lui prediletti. Quasi un accumulatore seriale di approfondimenti e di letture ha trovato il modo di inserirne una grande quantità, perfettamente armonizzate, anche in questo romanzo. “Nascere incendiario per morire pompiere”, ovvero dall’inferno al paradiso. Questa sembra essere la naturale parabola di ogni uomo. Tra le grandi aggregazioni dei free party, le compagnie di sodali nei giochi di ruolo, i collettivi studenteschi e le comunità ascetiche c’è una distanza che Santoni dimostra, qui, essere alquanto breve, percorribile grazie al supporto dei grandi maestri della letteratura, della filosofia, della sociologia, della religione. Onnipresente il fantasma di Morelli del Rayuela di Cortàzar, la voce di Simone Weil, lo spirito di Sant’Ignazio di Loyola, per tacere di tutte le guide spirituali induiste e buddiste richiamate nel racconto. Come non volere bene a Santoni, infine, per aver acceso i riflettori su quel piccolo grande gioiello che è “Franny e Zooey”di Salinger?
Congruenti con il profilo di una sociologa anche gli esiti finali, le derive di questi aneliti alla verità: la spiritualità che sublima in misticismo e la religiosità individuale che trascende il fine della salvezza personale per tendere ad una emancipazione dell’intero corpo sociale.
Sembra sconclusionato, è ben organizzato
I lettori assidui di Santoni hanno familiarità altresì con il suo stile. Mantiene ancora ferma l’opzione sul romanzo classico, e non rinuncia a quella sua tipica scrittura che si alimenta – come ho accennato in precedenza – delle molteplici letture compiute. Lungi dal conferire alla storia un andamento ondivago, esse si riconfermano ottimo propellente. Abilmente coordinate dallo scrittore toscano, sovrapponendosi e intersecandosi alla bisogna, sono determinanti nel tessere una trama avvincente e convincente. Santoni mette a segno, come suo solito, l’obiettivo di un ritmo piacevolmente vivace, nel quale l’apparente sconclusionato è in realtà estremamente ben organizzato. Dinamicità è la parola chiave che fa da filigrana al testo e dà al lettore l’idea esatta di quando l’autore si sia divertito a scriverlo.
Mi ero appuntata una miriade di citazioni da addure a sostegno di questo suggerimento di lettura. Ho cambiato idea in corso d’opera: non tutti gradiscono gli spoiler.
Una riflessione-mappa
Mi limiterò a trascrivere una riflessione attribuita da Cortàzar a Morelli – chiamato in causa ad ogni piè sospinto – lunghetta, è vero, ma efficace mappa per orientarsi in questo romanzo-universo di Santoni.
Da qualche parte Morelli cercava di giustificare le sue incongruenze narrative sostenendo che la vita degli altri, quale ci appare nella cosiddetta realtà, non è cinematografo ma fotografia, cioè che noi non possiamo afferrare l’azione ma unicamente i suoi frammenti elasticamente ritagliati (…) Morelli pensava che l’esperienza vissuta di quelle fotografie, che lui cercava di rendere con tutta l’evidenza possibile doveva mettere il lettore in condizione di avventurarsi, quasi di partecipare al destino dei suoi personaggi. Ciò che lui man mano scopriva su di essi per via immaginativa, si concretizzava immediatamente in azione, senza artificio alcuno destinato ad integrarlo in ciò che già stava scritto o stava per esserlo. I ponti fra l’una e l’altra istanza di quelle vite così incerte e pochissimo caratterizzate, dovevano essere presupposti o inventati dal lettore, dalla maniera di pettinarsi, se Morelli non la indicava, fino alle ragioni di un comportamento o del suo contrario, nel caso sembrasse insolito o eccentrico. Il libro doveva essere come quei disegni proposti dagli psicologi della Gestalt, e così certe linee avrebbero indotto l’osservatore a tracciare per via immaginativa quelle che conchiudevano la figura. Qualche volta però le linee assenti erano le più importanti, le uniche che veramente importavano. La civetteria e la petulanza di Morelli in questo campo non avevano limiti.
Confermo quasi tutto per Santoni. Ho scritto quasi. Dall’accusa di civetteria e petulanza, infatti, è assolto con formula piena. Promosso, infine, a pieni voti il romanzo.
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