Il ricordo personale di un incontro con Sami Modiano, uno dei pochi sopravvissuti della Shoah ancora in vita. Gesti e parole indelebili. E, anni dopo, un nuovo incontro, con il suo libro “Per questo ho vissuto”, supremo atto di testimonianza contro l’orrore infinito del Novecento
Ho avuto l’onore e il privilegio di conoscere personalmente Sami Modiano. Lui e la sua dolcissima moglie Selma erano molto amici di una mia cara zia che viveva, due piani sotto il loro, in una palazzina ad Ostia.
Mi metteva soggezione Sami, sempre molto schivo e taciturno, quelle rare volte in cui lo incontravo mi salutava con un cenno, fatto più con gli occhi che con la testa, prima di infilarsi in ascensore. Selma invece, aveva sempre un sorriso che le arrotondava gli zigomi nonostante fosse sempre afflitta da costanti dolori.
Durante una delle miei trasferte ostiensi, un pomeriggio, Selma mi invitò a salire da loro per un tè.
È un giorno che non dimenticherò mai e, ancora oggi, dopo più di vent’anni, sento i battiti del cuore accelerare al solo pensiero.
La deportazione e i sommersi
Non mi ricordo come sia successo, mi ero sempre ben guardata dal prendere l’argomento, non volevo che si sentissero obbligati a condividere il loro dolore con una ragazzina curiosa che scriveva la sua tesi di laurea ma, ad un certo punto, mentre Selma insisteva perché mangiassi uno dei loro biscotti tipici, per me troppo dolci, al miele e zucchero, Sami cominciò a raccontare. Tirò su la manica del pullover e mi mostrò il numero nero tatuato nella parte interna dell’avambraccio, poco sopra il polso. Lo avevo visto soltanto nei documentari o al cinema. Sentii un brivido.
Ha una voce grave Sami, parla ad un ritmo lento e cadenzato, quasi senza intonazione, la riconosco subito quando lo intervistano in tv. Quel pomeriggio, seduto sul suo divano, senza quasi mai girare la testa verso di me, guardando un punto indefinito, a volte in alto, più spesso verso il basso, mi parlò della sua deportazione, di quei pochi ricordi che ha dei suoi genitori, della madre morta provvidenzialmente
Schivare la morte
Tutti i giorni, ogni minuto e per qualsiasi motivo, uomini, donne o bambini rischiavano di sparire, inghiottiti dalle fauci mortifere del campo di concentramento.
Mi raccontò in particolare di tre episodi in cui, per miracolo, scampò a morte certa, come se non fosse già un miracolo sopravvivere ad Auschwitz-Birkenau per lui, ch
Proteggere
L’anno scorso ho trovato Per questo ho vissuto, il libro di Sami Modiano, in edicola, sconosciuto ai più, impilato disordinatamente fra altri libri sulla Shoah, alcuni anche più famosi; era un unica copia in abbinamento con un quotidiano, un omaggio, per celebrare il giorno della memoria, che qualcuno aveva scartato e non aveva voluto.
L’ho preso subito, per portarmelo a casa, per proteggerlo da chi non ne avrebbe avuto cura, per regalarlo a mia sorella che, come me, Selma e Sami li porta nel cuore.
Anche se conosco bene quella storia, l’ho voluta rileggere e la rileggerò ancora, per provare quelle emozioni di tanti anni fa che ancora mi turbano e mi fanno venire voglia di piangere.
È tutto così drammatico e disumano che, a volte, si fa fatica a crederci, anche solo ad immaginare quell’orrore infinito, finché qualcuno che conosci e che stimi non te lo racconta e, allora, tutto diventa tragicamente reale.
Testimoniare
Sono rimasti in pochi, anche per raggiunti limiti di età, i testimoni diretti di quello che è successo, quasi fosse “una maledizione della storia” essere sopravvissuti a quell’inferno e doverlo raccontare. Sami Modiano è uno di loro ma, presto, né lui né altri ci saranno più e tocca a noi, figli e nipoti, che abbiamo ascoltato con le nostre orecchie i loro racconti che dobbiamo continuare a tramandarli, per ricordare, perché i giovani devono sapere e non devono dimenticare.
“La testimonianza serve a questo. A coltivare la memoria, a ricordare chi non è più con noi. Io oggi parlo per loro”.
“Per questo ho vissuto”.