“Nostalgia” di Eshkol Nevo è un racconto polifonico in cui non sembra succedere molto, o nulla di clamoroso, scorrono vite altrui da osservare, in Israele, alla metà degli anni Novanta. Alla fine del debutto del grande scrittore israeliano, però, si sente davvero la mancanza di tutti i personaggi, la cosa più bella che possa lasciare un romanzo…
Sembra che in fondo ci sia poco da dire su Nostalgia, romanzo di Eshkol Nevo, prima edizione Neri Pozza 2014 e seconda edizione nei BEAT Bestseller (411 pagine,13,50 euro), dove si è trovato di diritto del 2021. Il romanzo dello scrittore israeliano è fatto di voci, molteplici, sovrapposte, quasi un puzzle, sembrano darsi la staffetta durante la narrazione, si susseguono una dopo l’altra, moltiplicando le prospettive e i punti di vista, un romanzo corale dovremmo dire? Un romanzo che è da ascoltare prima che da leggere, caratteristica comune a molti narratori israeliani come Nevo, ove il parlato e i dialoghi dipingono analiticamente la realtà nella quale si trovano ad agire i personaggi.
Voci e minime epopee
Esordio letterario di Nevo, del 2004, Nostalgia è un romanzo a rilascio prolungato; quelle voci che si alternano lungo le oltre quattrocento pagine raccontandoci le loro minime epopee, impariamo a riconoscerle e ad amarle lentamente, quando si stagliano dal mondo nel quale sono immerse in un modo quasi claustrofobico in ossequio a quel paese, Israele, a suo modo isolato, l’unico paese con confini terrestri al quale si accede solo per via aerea, con quelli stessi confini costantemente minacciati. È in questo modo che quelle voci lentamente diventano familiari e risuonano dentro anche dopo la lettura.
Tre famiglie
Noa e Amir, due dei protagonisti del romanzo, la cui sofferta vicenda sentimentale svetta sulle altre, si trasferiscono a Maoz Zion, un sobborgo di Gerusalemme denominato anche Castel, praticamente a metà strada tra Tel Aviv e la Città Santa. In questo insediamento residenziale ancora in fase di costruzione, ex enclave araba abbandonata nel 1948, già campo di transito per gli immigrati dal Kurdistan, Noa, fotografa a Gerusalemme alle prese con i fallimentari esiti della sua occupazione e Amir, studente di psicologia a Tel Aviv il quale ha un fratello (Modi) che vive lontanissimo da lui (in Nuova Zelanda) e con il quale corrisponde occasionalmente, entrano in contatto in modo naturale e affettuoso con i vicini. I padroni di casa Moshe Zakian e la moglie Sima, vivono oltre il muro del loro appartamento, sono ancora innamorati ma le loro piccole liti su ad esempio quale asilo scegliere per il figlio rischiano minare il loro rapporto. Di fronte un’altra famiglia, quella di Yotam, segnata dal recente lutto per il figlio primogenito Ghidi, morto durante la guerra in Libano. Yotam segnato dalla tragedia si sente trascurato dai genitori e stringe un’amicizia fraterna con Amir. Nei dintorni si aggira Saddiq, un muratore arabo lì per lavoro che riconosce nella casa ora di Noa e Amir l’abitazione da cui la propria famiglia era stata cacciata dai coloni ebrei. Il ragazzo entrerà furtivamente nell’appartamento per recuperare un gioiello che sua madre aveva nascosto dietro un mattone, per la cui cosa verrà arrestato.
Un bisogno di appartenenza
Le case ricorrono spesso nell’immaginario di Nevo. Come in Tre Piani, romanzo del 2015 dal quale è stato tratto l’ultimo film di Nanni Moretti presentato a Cannes 2021 e che narra vicende di tre nuclei familiari che vivono nello stesso edificio alle porte di Tel Aviv, così in Nostalgia la connotazione spaziale e topografica sembra sancire un bisogno di appartenenza, mai così instabile e sotto costante minaccia come in Medio Oriente.
Quel sentimento sottile e inafferrabile
Il periodo storico della narrazione è quello tra il 1995 e 1996, a cavallo dell’omicidio di Yitzak Rabin. L’alternarsi delle voci che si rincorrono è segnato all’interno del romanzo dai brevi capitoli che hanno il titolo dei protagonisti di questo affresco, all’interno di una struttura in sei parti: il prologo (iniziale), l’esilio (finale) e le quattro stanze (non a caso così denominate) della parte centrale. Un sistema chiuso, delle piccole confraternite, microcosmi all’interno dei quali non sembra accadere molto, quantomeno niente di eccezionale: vicende amorose, liti fra coniugi, fughe, ritorni, il mutismo delle persone in strada a Gerusalemme i giorni dopo un attentato, partite di calcio tra squadre rivali giurate non solo sportivamente ma relativamente all’appartenenza religiosa, come tutt’ora avviene in Israele. Un racconto polifonico nel quale sembra non accadere molto ma che riesce a spalancare le porte su un mondo più che su una storia. Anche l’utilizzo della punteggiatura rispecchia l’andamento fluviale del parlato, anche dove questo assume la forma dei monologhi interiori dei vari personaggi, vite altrui che ci scorrono davanti e che ci limitiamo ad osservare. Nostalgia deriva dal greco: nos-algos, il dolore del ritorno. Noa, parlando di Amir e della loro sofferta relazione dirà: “Stavamo bene insieme. Non a posteriori, per nostalgia”; un sentimento sottile e inafferrabile, un soffio che nasce dalle parole, come la scia che lascia la poppa di una nave prima che i ricordi sbiadiscano per sempre. Anche i racconti e le voci possono essere sono strumenti della nostalgia, citando l’explicit del Giovane Holden di J.D. Salinger: “Non raccontate mai niente a nessuno, altrimenti finirà che sentirete la mancanza di tutti”, e in Nostalgia di Eshkol Nevo attraverso i racconti dei personaggi, ai quali si impara a voler bene, alla fine si sente davvero la mancanza di tutti e questo in fondo è la cosa più bella che può lasciare un romanzo.
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