Luoghi freddi e paludosi, personaggi grotteschi, i temi della vergogna, della misoginia, della sopraffazione, ma anche del potere della femminilità: è tutto racchiuso in “Medusa” della canadese Desjardins. Una misteriosa malformazione agli occhi condiziona la vita a una ragazza di buona famiglia, che finisce in un collegio. E c’è più di un parallelo con la donna-mostro della mitologia greca…
Avevo letto numerose recensioni, tutte molto positive, riguardo a questo romanzo portato in Italia dai tipi di Alter Ego. E di solito, quando di mezzo c’è una piccola casa editrice indipendente e persino le riviste specializzate decidono di concedere il loro prezioso spazio, vuol dire che siamo in presenza di un prodotto di alta qualità. E in effetti Medusa (228 pagine, 17 euro) della canadese Martine Desjardins (tradotto da Ornella Tajani) non tradisce le attese. Si tratta di una fiaba noir, con venature gotiche in cui si mette in risalto la discriminazione, la sopraffazione e la cattiveria dell’animo umano, sovente capace di accanirsi anche sui più deboli e sfortunati. A far da contorno, fornendo alla storia una credibilità interna solidissima, sono le atmosfere fosche e circensi del primo Novecento, una serie di personaggi grotteschi e luoghi freddi e paludosi.
Rinchiusa e bistrattata
La protagonista del romanzo è una ragazzina di buona famiglia che ha una grave malformazione agli occhi: a casa (è la più piccola di tre sorelle) tutti si vergognano di lei, la tengono rinchiusa e non fanno altro che bistrattarla. La ragazzina non si accetta, com’è ovvio che sia, cammina a testa bassa, teme gli specchi tanto da non essersi mai guardata. I suoi occhi non versano lacrime e nel racconto – che si sviluppa in prima persona – Medusa li nomina sempre utilizzando termini alternativi e dispregiativi: ora Disgrazie, ora Nefandezze, ora Spaventosità.
“Non ho mai versato una lacrima in vita mia. Né di tristezza, né di rabbia, né di disperazione, né di loro – ancor meno di riso o di felicità”
Giochi crudeli
La svolta arriva quando il padre di Medusa, il rettore dell’università della città, decide di ripudiarla, affidandola ad un collegio dall’aria tetra che raccoglie altre ragazze portatrici di deformazioni fisiche. L’istituto, diretto da una donna malefica e a sua volta vittima del proprio corpo imperfetto, più che un placido ospizio si rivelerà un luogo in cui i cosiddetti “benefattori” – ovvero i 13 finanziatori dell’istituto – sfogano le proprie perversioni: non si tratta di abusi sessuali, come si potrebbe pensare, ma di giochi tanto infantili quanto crudeli.
“Siamo sempre il mostro di qualcun altro”
Dal dolore al piacere
Medusa è il nome che le sorelle affibbiano alla protagonista da bambina, ma il proseguo della storia mostrerà più di un parallelismo con la donna-mostro della mitologia greca, incluso il tratto che vuole le Gorgoni pietrificare con gli occhi chi si azzarda a guardarle direttamente negli occhi. Occhi che per Medusa, col tempo, diventeranno non solo fonte di dolore ma anche di piacere. Ma cosa nascondono le cavità orbitali della ragazza di tanto mostruoso? Quale sarebbe questa deformazione che pagina dopo pagina mieterà più di una vittima? Martine Desjardins ce lo svelerà alla fine (come è giusto che sia), anche se da qualche indizio disseminato qua e là, si può intuire dove l’autrice canadese andrà a parare.
Dettagli attraenti e agghiaccianti
I dettagli fanno la differenza in questo singolare romanzo, dettagli che spesso sono tanto attraenti, quanto agghiaccianti, come nella migliore tradizione della letteratura di genere. Quando nelle ultime pagine la Desjardins ci descriverà le Malformazioni di Medusa, non potrete far altro che figurarvi questa ragazza dagli “occhi” perennemente coperti e scoprire poi quanto può essere orribile e stupenda al tempo stesso. Un romanzo potente che affronta con stile e fantasia il tema della vergogna, della misoginia e del potere della femminilità. Una metafora riuscitissima che è un lampo di bellezza e violenza. E che probabilmente ricorderete a lungo.
“Conoscevo intimamente quello sguardo al contempo implacabile e irrazionale: era quello del mostro che mi aveva tenuta tutta la vita in schiavitù. Parlo naturalmente della vergogna – quella del corpo, delle sue parti intime e dei suoi difetti fisici”.
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