Quattro decenni dopo la sorte irreversibile di ogni eroe epico, un incidente mortale che ha segnato una generazione, “Gilles Villeneuve” di Luca Dal Monte e Umberto Zapelloni racconta come un romanzo la vicenda dell’amatissimo ferrarista. Il profilo tracciato è quello di un ragazzo leale, che agiva col cuore, incarnando un modo di vivere, che non ha avuto eredi
“Se qui a Zolder la mia macchina dovesse sbandare, l’unica cosa che posso fare è chiamare la mia mamma e farmi il segno della croce”: rileggere oggi queste parole mette ancora i brividi, tanto più che Gilles Villeneuve le ha pronunciate il venerdì pomeriggio. Cioè meno di 24 ore prima di morire.
Conoscere la paura, ma non temerla
C’è un pathos che cresce di pagina in pagina nel libro che Luca Dal Monte e Umberto Zappelloni hanno mandato alle stampe a pochi mesi da un anniversario che segna una generazione. L’8 maggio saranno 40 anni dalla morte di un pilota che non è stato solo un campione amatissimo ma ha incarnato soprattutto un modo di vivere. Dare tutto se stesso, sempre. Agire col cuore e non con la fredda razionalità. Essere leale, mai opportunista o, peggio, scorretto. Conoscere la paura ma non temerla. Sono questi gli insegnamenti che una intera generazione, quella che lo ha visto correre in F1 fra il 1977 e quell’8 maggio 1982, ha tramandato a chi è nato dopo, a quanti non hanno fatto in tempo a vederlo infrangere una di quelle barriere dell’impossibile che erano per lui solo una sfida.
Innamorarsi fino a soffrire
Il libro Gilles Villeneuve. L’uomo, il pilota e la sua leggenda (326 pagine, 20 euro), edito da Baldini + Castoldi, è scritto da due giornalisti che hanno conosciuto il canadese e la Ferrari dall’interno. E, soprattutto, è scritto come un romanzo, non come una biografia. Tutti sanno come è andata a finire la parabola di questo ragazzo scoperto e assunto da Enzo Ferrari per dimostrare a Lauda che sulle sue macchine chiunque poteva diventare un campione. E questo romanzo va avanti con una trama precisa, far conoscere il campione, spingere il lettore nato dopo quel 1982 ad innamorarsi di lui fino a soffrire, oggi come allora, per la sorte irreversibile di ogni eroe epico.
Una sfida alla morte e ai rivali
Poco aggiunge il libro alle vicende che ogni appassionato non conosca già. Eppure chi non ha conosciuto Gilles, chi ne ha solo sentito parlare potrà calarsi, leggendo, in quei giorni in cui in tutta Italia scoppiava la febbre Villeneuve. Il libro fa rivivere gli anni in cui i giornalisti restavano ore intere dietro la porta della fabbrica a Maranello in attesa di una dichiarazione, un incontro, una curiosità da dettare poi alle redazioni da una cabina telefonica. Erano gli anni in cui ogni gara era una sfida, prima alla morte e poi ai rivali. Erano gli anni di Hunt, Regazzoni, Lauda, Prost, Arnoux, Patrese, De Angelis. E dei duelli con ognuno di loro il libro di Dal Monte e Zappelloni ricostruisce le fasi tenendo incollato il lettore nella illusoria speranza che cambi il finale, che la gloria non diventi leggenda.
Le consapevolezze ultime
Per questo motivo ha un retrogusto amaro la scelta di non lasciare che quello sull’8 maggio sia l’ultimo capitolo del libro. Provare ad andare oltre cercando l’eredità di Gilles attraverso i protagonisti dei 40 anni successivi lascia nel lettore solo la consapevolezza che quegli anni lì, gli anni dell’Italia da corsa nello sport come nella storia, siano irripetibili, morti con Gilles.
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