Torna un superclassico, “Fishke lo zoppo” di Mendele Moicher Sfurim, avo della letteratura yiddish: le peripezie di un mendicante ramingo negli shtetl del vecchio impero zarista, uno sguardo grottesco e politico su un mondo che sarebbe scomparso; sotto una doppia lente – di condanna e compassione – vagabondi, contrabbandieri e prostitute un mix di malinconia e ironia
Il lavoro del traduttore? Durissimo. Ancora di più se la lingua da plasmare, trasformare, modellare, è quasi morta. Per merito di una studiosa e docente di primo piano, Daniela Leoni, possiamo godere delle spassose e pensose opere di un avo della letteratura yiddish, Mendele Moicher Sfurim (al secolo Sholem Yankev Abramowitsch), che raccontando un mondo poi scomparso (morendo nel 1917 non avrebbe visto come, cancellato dal nazismo), ha preparato la strada a eredi ancor più famosi, ispirando i frutti più maturi del Novecento. Specialista di lingua e cultura yiddish, Daniela Leoni, che aveva già firmato la traduzione di un altro libro di Sfurim, I viaggi di Beniamino Terzo (parodia del don Chisciotte in salsa ebraica, riflessione, tra farsa e compassione, della condizione degli ebrei nei ghetti e negli shtetl) per le edizioni Dehoniane, è l’autrice della versione in italiano di un precedente romanzo di Sfurim, Fishke lo zoppo (XXXII+237 pagine, 16 euro), libro pubblicato da Marietti 1820.
Contro superstizioni, arretratezze e avidità
Fishke lo zoppo, che nel giro di un paio di decenni fu rivisto e ampliato dall’autore, è una finestra spalancata sulla vita ebraica nel diciannovesimo secolo. Sfurim viaggiò in lungo e in largo, vivendo tutto le piccole e grandi realtà di quello che era il vasto impero zarista. E attinse alle avventure personali anche per Fishke lo zoppo, epopea di mendicanti itineranti (a cominciare da Fishke, il protagonista), ruffiani, prostitute, contrabbandieri, bande rivali; un libro prezioso che, in linea col resto della sua produzione, ha uno sguardo grottesco e politico allo stesso tempo, la comicità irresistibile si affianca a sferzate. Sfurim ha compassione dello spaccato che evoca, ma allo stesso tempo lo critica, scagliandosi contro superstizioni, arretratezze, avidità e opportunismi.
Nella città era in atto una rivolta. I nuovi signorotti ebrei, i “signori” del mondo d’oggi, avevano deciso che ai poveri, ad eccezione dei vecchi, dei malati e degli storpi, non si doveva più fare l’elemosina. Giovani, donne e ragazzi sani non dovevano più essere serviti, ma dovevano lavorare e guadagnare con le proprie forze il loro pezzo di pane. Il folle e indiscriminato modo ebraico di fare elemosina era responsabile di grossi mali. Per quel motivo, dicevano, tante anime pigre si mantenevano solo in quel modo, come cimici che succhiano il sangue altrui, rodendo spesso anche nel capo. Avevano perciò creato una specie di “fabbrica”, dove i mendicanti sani, che si recavano da loro per ricevere ospitalità, venivano onorati con un qualche lavoro: dovevano arrotolare le corde, cucire i sacchi e per questa loro attività ricevevano qualcosa da mangiare. i poveri allora cominciarono a presentarsi in quella città sempre più raramente. la cavalleria, che incontrammo quando giungemmo nella città, era fortemente turbata a motivo di quelle novità. Sprizzavano dalla loro bocca fiamme e fuoco. Tutti urlavano “Che mondo è mai questo! Dove è andata a finire la pietà ebraica?…”
Un mondo antico verso la modernità
Le anime che vagano per le pagine di questo classico sono quelle di umili, poveri, vagabondi che cercano di sopravvivere attraverso gli espedienti più disparati. Fishke è una sintesi esemplare del suo popolo, e in generale di un’umanità ai margini, il lettore lo “incontra” dopo quasi cento pagine (quando lo incontra il venditore ambulante di libri, Mendele per l’appunto, pseudonimo che lo scrittore aveva scelto per sé…), ma poi si prende la scena. In un mix di tragedia e commedia, con sentimenti che attingono ora alla malinconia ora all’ironia, Fishke (e attraverso lui Sfurim) racconta i lenti ma immarcescibili cambiamenti di un mondo antico che in qualche modo si tuffa nella modernità, una metamorfosi che non gli appartiene e in qualche modo prova a rifiutare. Come rifiuta le conseguenze dell’amore… per interesse. Ha sposato una donna cieca, Fishke, ma non è per nulla coinvolto nel menage coniugale, piuttosto indirizza sentimenti d’amore nei confronti di una ragazza gobba.
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