Con “La notte, il sogno, la morte e le stelle” Joyce Carol Oates torna a esplorare il tragico quotidiano a partire dalla morte di quello che sembra un cittadino esemplare e un marito devoto. Da un antefatto di cronaca nera si passa ai meandri di una famiglia, tra incomprensioni, vendette e piccoli, devastanti drammi quotidiani
È da poco sbarcato in tutte le librerie La notte, il sonno, la morte e le stelle (832 pagine, 24 euro) il nuovo, sempre attesissimo, romanzo della regina del thriller psico-sociale americano, Joyce Carol Oates, pubblicato da La Nave di Teseo, nella traduzione di Carlo Prosperi.
Dopo averci deliziato con capolavori del calibro di BLONDE – la biografia romanzata di Marylin Monroe –, SORELLA MIO UNICO AMORE – un thriller che si insinua nelle pieghe oscure dei drammi familiari e nel bigottismo della provincia americana, basato sulla storia vera di una reginetta di bellezza di sei anni, trovata morta nella cantina di casa –, HO FATTO LA SPIA – acuta indagine delle storture familiari e delle morbosità che, per un’incapacità sorda, figlia di violenze pregresse e ripetute, si ripercuotono sul destino dei figli -, Joyce Carol Oates ci presenta un romanzo corale, composto da cinque personaggi principali, tutti gravitanti attorno ad un unico fatto cruento, un lutto che, ingiusto ed improvviso, li sbaraglia e li getta nel panico, orfani, più che di un padre, di una routine necessaria alla sopravvivenza.
Una morte misteriosa?
Whitey, cittadino esemplare, patriarca benestante di una famiglia numerosa, marito devoto – o forse opprimente – di una donna, giovane quel tanto che basta per garantirgli una discendenza robusta, improvvisamente, muore. E muore avvolto da un mistero, perché la sua scomparsa non è naturale, ma provocata da un atto di ignobile ferocia da parte della polizia locale che, dopo averlo bloccato ai margini di una statale, lo massacra di botte.
Whitey come perno familiare viene dunque a mancare quasi subito, permettendo a Joyce Carol di concentrarsi tutta su un baricentro negativo, fatto di assenza, inconsistenza e incapacità di esistere indipendentemente dalla protezione maritale: Jessalyn, prima la moglie, ora la vedova di Whitey.
A Jessalyn pare non sia concesso nulla. Neppure di pensare. Costantemente sotto giudizio, diventa l’emblema della perdita, del fallimento personale, della profonda incapacità di reagire alle violenze invisibili, ai ricatti morali, alle manipolazioni che l’hanno forgiata col passare degli anni, e l’hanno scavata, fino a renderla una voragine affettiva incolmabile, facile preda di critiche e bersaglio di uomini prevaricatori, più o meno consapevoli.
Cambio di rotta
Insomma, in queste tante pagine di storia – che passano in un attimo, come sempre quando si parla della Oates – il disorientamento del lettore è conclamato: si parte da un antefatto di cronaca nera e si finisce con l’immergersi nelle collose paludi familiari di figli incompresi, immaturi, vendicativi. Per poi perdersi nell’orbita vuota e disperata di una donna che si è annullata in favore di una struttura familiare malamente, mortalmente, concepita.
Questo repentino cambio di rotta nella trama è significativo del fatto che certi orrori non smettono di esistere al di fuori della cronaca giornalistica, ma anzi, si perpetuano ben oltre la pagina stampata, in uno stillicidio che porta con sé drammi altrettanto cruenti.
Lo smantellamento di sé, la rabbia taciuta, i tanti, troppi, teatrini imbastiti per preservare la parvenza di una vita di successo, l’ipocrisia dilagante, unità minima con cui si misura la società, sono i mattoni marcescenti su cui si fonda il mondo contemporaneo, in un continuo rimando di ossessioni, incubi e deliri.
La parvenza di una vita di successo
Piccoli, devastanti drammi quotidiani con cui non ci rendiamo conto di confrontarci, ma che, poco alla volta, con una costanza che ci pare più crudele delle torture per come siamo abituati a pensarle, ci annientano, cancellandoci, senza possibilità di ripristino, dalla memoria collettiva per cui esistiamo solo nel momento in cui serviamo e per cui, realmente, non siamo mai esistiti.
Di nuovo, Joyce Carol Oates inscena magistralmente il tragico quotidiano e i suoi protagonisti, così fragili e irrecuperabili, ci spaventano, invitandoci a riconoscerci nelle loro ferite, invocandoci da un tetro altrove che ci suona familiare.
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Mia bellissima Sara, è sempre un piacere enorme leggerti nei tuoi attenti e profondo commenti, i quali fanno sì che io allunghi la mia lista di libri da leggere con la sicurezza di non rimanere mai delusa…
Un abbraccio 🤗