Maestro di cultura scientifica universale, Telmo Pievani torna in libreria con il saggio “Serendipity. L’inatteso nella scienza”. Pagine che aiutano a capire, anche nella ricerca scientifica, il ruolo preponderante della contingenza, il peso possibile di errori e dimenticanze, le eventuali anomalie degli accidenti e dei sogni, insomma l’ecologia della serendipità…
Da migliaia di anni. Ovunque può davvero capitare. La parola “serendipità” (Serendipity) sboccia da un fraintendimento, dallo scrittore inglese Horace Walpole (1717-1797) che a metà Settecento intende male un antichissimo schema narrativo favolistico, una novella sapienziale forse di origine araba (Sarandib o Serendib era il nome persiano dell’isola Sri Lanka, Ceylon o Silan), intrisa di astuzie e finzioni, di prove iniziatiche e associazioni abduttive, assegnandole il significato di una scoperta dovuta a “sagacia accidentale”. L’interpretazione è errata: in tutte le precedenti diramazioni letterarie la parola “caso” compare una sola volta e nessuno scopre ciò che non stava cercando. Walpole usa il termine una sola volta, con un tocco di autoironia, scelto più per la musicalità bizzarra ed esotica, senza altre determinazioni del concetto, circa la natura dell’oggetto scoperto, le competenze dello scopritore, alcuni esempi concreti e la frequenza del fenomeno. Una seconda tradizione interpretativa, parallela e indipendente, emersa in tempi più o meno coevi, si deve a Voltaire (François-Marie Arouet, 1694-1778) che sottolinea, invece, la “sagacia indiziaria” (alla radice del romanzo poliziesco come lo conosciamo oggi). Il termine va, poi, quasi in letargo per oltre un secolo, riemerge a fine Ottocento e il lemma viene inserito nell’Oxford English Dictionary del 1913, finché nel corso del Novecento la parola e il concetto di serendipità sfondano la barriera invisibile e vengono utilizzati in ambito scientifico, pur con forti ambiguità e differenti accenti, un carnevale alla moda di usi e significati, risultando comunque ancor oggi cruciali per la spiegazione storica di innumerevoli scoperte in quasi tutte le discipline e per la stessa filosofia della scienza.
Quattro accezioni
Il grande Telmo Pievani (Bergamo, 1970) fu allievo di uno straordinario scienziato americano (Stephen Jay Gould, 1941-2002) e oggi è lui stesso maestro di cultura scientifica universale, docente di Filosofia delle scienze biologiche e prorettore a Padova, direttore di Pikaia (il portale italiano dell’evoluzione), direttore del magazine Il Bo Live, protagonista di rappresentazioni teatrali e trasmissioni televisive di successo. Pievani in Serendipità. L’inatteso nella scienza (254 pagine, 15 euro), per Raffaello Cortina editore, mette in ordine le interpretazioni sin qui storicamente sedimentate e differenzia quattro accezioni di serendipità in base al peso che ciascuna di esse assegna al caso: massima accidentalità; scoprire qualcosa di prezioso cercando altro (Walpole); scoprire quasi casualmente qualcosa di prezioso cercandolo altrove; quasi nessuna accidentalità, solo abduzione, ovvero lavoro logico d’indagine a ritroso sui rapporti di causa ed effetto nei fenomeni (Voltaire e Sherlock Holmes), evoluto probabilmente come adattamento antipredazione.
Analisi a trecentosessanta gradi
Per analizzarle viene riesaminata tutta la letteratura scientifica sull’argomento teorico, oltre che vicende reali, contesti sociali e aneddoti tramandati di centinaia di casi di “scoperte” dei vari tipi in tutti i campi, dalla medicina all’astronomia, dalla paleontologia alla biologia evoluzionistica, dalla fisica alla chimica e alla matematica. Capiamo così meglio la storia sociale delle ricerche scientifiche e le intenzionalità logicamente determinate, l’importanza delle domande del ricercatore e delle menti preparate, il ruolo preponderante della contingenza serendipitosa, il peso possibile di errori e dimenticanze, le eventuali anomalie degli accidenti e dei sogni, insomma l’ecologia della serendipità.
La vera ignoranza
La specie umana è un’enciclopedia di exaptation (Gould), di riuso ingegnoso e opportunistico di strutture già esistenti. L’ignoto è e sempre sarà sterminato, ma la vera ignoranza non è l’assenza di conoscenza, ma il rifiuto di acquisirla, di usare (insieme e democraticamente) il metodo sperimentale e la razionalità. La serendipità va coltivata.
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