“La casa sull’acqua” di Emuna Elon è una piacevole sorpresa. Racconta di un famoso scrittore israeliano che torna nella città natale, Amsterdam, e che per puro caso capisce di non sapere molto delle proprie origini e del proprio passato. Indaga scoprendo una storia terribile, un destino che lo accomuna a tantissimi altri piccoli ebrei nel corso della prima guerra mondiale: non sono morti, ma sopravvivere è un po’ morire…
Le prime cose che saltano all’occhio, fra copertina e bandelle, sono l’ammirazione, sotto forma di blurb, di Amos Oz, l’ambientazione ad Amsterdam, città che innumerevoli scrittori hanno provato a raccontare, la convinzione che la letteratura israeliana contemporanea sia un serbatoio inesauribile di storie e di idee. La nuova voce tradotta in italiano, la versione è stata affidata a Elena Loewhental, una garanzia, è quella di Emuna Elon, sessantaseienne, scrittrice di un certo successo in patria, con apprezzamento della critica che si affianca a quello dei lettori.
Di chi sono le colpe
Quello che emerge lentamente, nel corso della lettura, è come Emuna Elon sia capace di raccontare un storia inventata in un contesto realissimo, di scriverla in modo verosimile, su un solco ormai documentato storicamente, di far tornare a galla, e raccontarla a un grande pubblico, oltre gli steccati degli addetti ai lavori, il destino di molti bimbi ebrei in un angolo d’Europa, ai tempi della seconda guerra mondiale, e facendo evaporare, ancora una volta, il luogo comune degli “olandesi brava gente”: gli abitanti dei Paesi Bassi collaborarono, in buona maggioranza, alle nefandezze dei volenterosi carnefici di Hitler, gli ebrei e le altre minoranze invise ai nazisti furono condotte al macello senza troppi complimenti, anche con la complicità di alti notabili della comunità ebraica. Il romanzo è il penultimo di Emuna Elon, La casa sull’acqua (349 pagine, 18 euro) ed è pubblicato da Guanda.
Se non sei chi credevi di essere
Al centro della scena un immaginario scrittore israeliano di grido, famoso in tutto il mondo (capace in ogni suo libro di rivelare a ogni lettore “il proprio segreto più profondo: il segreto di cui ignorava perfino l’esistenza”), puntualmente riconosciuto da qualche lettore, quando va in giro. Il suo nome è Yeol Blum, sposato. tre figli, e con nipoti, e per puro caso si accorge di dovere fare i conti con un mistero lungo decenni, un nodo irrisolto della propria vita, che mai avrebbe immaginato. Un capitolo dell’ultimo romanzo di Alessandro Piperno, Di chi è la colpa, si intitola “Se non sei chi credevi di essere”, e si cuce addosso perfettamente al protagonista di Emuna Elon. La scoperta avviene ad Amsterdam, la città in cui è nato durante la seconda guerra mondiale, prima di riparare nella Terra Promessa, in Israele; la madre, di fatto, sopravvissuta alla Shoah, gli ha sempre raccomandato di non mettere mai più piede nella capitale olandese. Lui, a malincuore, ha tradito la promessa, a causa del tour promozionale di un suo romanzo che fa necessariamente tappa in Olanda. Nel labirinto di canali e strade, negli angoli in parte stravolti del vecchio quartiere ebraico della capitale olandese, Yeol Blum inizia a cercare qualcosa a proposito del proprio passato, messo in guardia da un vecchio filmato: “lui è venuto qui a cercare un bambino morto. Di solito le indagini su un assassinio si focalizzano sull’assassino. Mentre lui lo sa chi è l’assassino, lui cerca la vittima”.
Van Gogh come modello
Il romanzo, poi, comincia ad alternare in presa diretta, il presente dello scrittore ad Amsterdam, e il passato, soprattutto quello di sua madre, sotto forma di appunti e brani del nuovo romanzo che scriverà, un canovaccio ma di qualità. Le sofferenze e le energie dolorose che ancora riecheggiano tra i canali della capitale olandese sono la nuova linfa del suo lavoro di scrittura.
Comunque sia, il nuovo romanzo va lievitando nel suo cuore. Ha la sensazione sempre più nitida che tutte le storie che ha scritto nel corso della sua vita non fossero altro che esercizi in vista di questo libro.
Il solo modello per quello che sta scrivendo su una serie di quaderni? Un pittore, anzi il pittore per eccellenza in riva all’Amstel.
Yoel guarda il quadro in cui Van Gogh dipinge se stesso che dipinge se stesso e capisce che nel suo nuovo romanzo lui cerca di scrivere se stesso che scrive se stesso, e desidera farlo con la medesima precisione con cui Van Gogh dipinge, con la medesima sincerità, con il medesimo bungee jumping da cui non c’è ritorno.
Tra passato e presente
Durante il secondo conflitto mondiale, in Olanda, migliaia di bimbi ebrei trovarono temporaneamente rifugio in seno a famiglie cristiane, altri, rimasti orfani o mai ricongiuntisi con i genitori naturali, furono adottati. E tanti altri finirono schiacciati nella macchina hitleriana dell’orrore. In questo contesto si agitano i ricordi dolorosi di Yeoul Blum, la morte del padre Eddy in un lager, Sonia, una madre coraggio (che gli aveva fatto giurare di non tornare mai più in Olanda…) e la sorella Nettie, salvatesi con lui e infine rifugiatesi in Palestina. Da un hotel malandato sbircia le strade attuali del quartiere ebraico. Rievoca storie, ambienti, amori impossibili da scalfire, come quello fra madre e figli, convinzioni dure a morire, su tutte quella degli ebrei di Amsterdam che, in piena seconda guerra mondiale, non credevano d’essere in pericolo e di dover fare i conti con la persecuzione. E invece – complici perfino alcuni di loro, come il banchiere de Lange, padre di amici dei genitori di Yoel – fecero presto i conti con le discriminazioni, la scarsità di cibo, i rastrellamenti…
Storia e psicologia
Il romanzo di Emuna Elon, con prosa elegante ed evocativa, alterna l’azione storica (in particolare la rete della Resistenza che nascondeva i bimbi ebrei presso famiglie cristiane, piccoli spesso non restituiti alle famiglie d’origine o non più rintracciati dai genitori) e i processi psicologici del protagonista, che si nutre del senso di perdita di un bambino divenuto adulto, tra poesia e silenzio, un silenzio colmo di significato, tra ricordi braccati ma sbiaditi e una ricerca dolorosa. Perché sopravvivere è un po’ morire, quasi ugualmente insopportabile.
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