Un misterioso straniero, amato ma ancor più odiato, viene ritrovato morto in una località dell’Isola di Guadalupa. Non è l’inizio di un giallo ma de “La traversata della mangrovia” di Maryse Condé. Un pretesto per raccontare – in una lingua fantasiosa e composita, in modo tradizionale e al contempo sperimentale – il luogo delle origini, tra contraddizioni e contrapposizioni, figlie anche di colonialismo e post-colonialismo…
Fin dalla fine degli anni Ottanta le meritorie edizioni Lavoro hanno introdotto Maryse Condé in Italia. Ma solo da qualche anno questa grandissima autrice francese dell’isola di Guadalupa – col cognome del primo marito (ha poi sposato in seconde nozze il traduttore dei suoi titoli in inglese), laureata alla Sorbona, protagonista di un’esistenza tumultuosa e raminga che l’ha portata a vivere dall’Africa alla Francia, agli Stati Uniti – ha raggiunto uno “status” da autrice imprescindibile, una fuoriclasse, anche alle nostre latitudini. La spinta mediatica è arrivata da qualche ricorrente candidatura all’alloro del Nobel e all’assegnazione del Nobel alternativo nel 2018. Al di là dei riconoscimenti, Maryse Condé, classe 1937, è un’eccellenza della letteratura mondiale e, in Italia, anche altri editori hanno fatto a gara per proporre o riproporre alcune delle sue opere principali: è il caso di Giunti che ha lanciato in libreria una nuova edizione de La traversata della mangrovia (250 pagine, 17 euro).
Chi l’ha ucciso?
A Rivière au Sel, l’isola verde in cui si era rintanato da straniero, Francis Sancher fa la fine peggiore e quando si sparge la voce che è morto, l’unica domanda che di sicuro tutti si pongono è “Chi l’ha ucciso?”.
In un attimo la gente si riversò tutta in strada per commentare l’accaduto. Non erano sorpresi, però: era scritto, un giorno o l’altro qualcuno avrebbe fatto fuori Francis Sancher!
Con una splendida, composita lingua, resa in traduzione da Eliana Vicari (affascinante anche il glossario finale), Maryse Condé, ci porta – talvolta con un narratore eterodiegetico, talvolta con uno omodiegetico – nel cuore di un microcosmo dell’isola di Guadalupa, affida il suo universo d’origine agli occhi e alle orecchie dei lettori, che si trovano a fare i conti con un bel mix, con un racconto fantastico che non disdegna l’ironia, con una polifonia di voci e testimonianze a proposito dello straniero morto e dell’enigma della sua fine violenta.
Prende forma un mondo, non un uomo
Criticato, amato ma poi odiato, considerato un amico o un diavolo, invidiato, perfino dopo la morte (“Adesso Francis Sancher è morto. La fine è giunta solo per lui. Noi siamo vivi e continueremo a vivere come prima”), generatore più di dolori che di piaceri, l’uomo, attorno a cui ruotano i discorsi della maggior parte degli abitanti di Rivière au Sel, è un puzzle restituito di volta in volta, tessera per tessera, anche pezzo incongruente per pezzo incongruente. Alla fine più che mettere a fuoco la sua identità (sconosciuta, come la sua nazionalità) o capire davvero chi gli ha tumefatto il volto e tranciato per sempre il respiro, è l’ambiente circostante, intessuto dalle voci di tutti gli abitanti, a prendere forma: una società essenzialmente rurale, dalle tante culture e classi sociali, quella dell’isola in cui è nata e cresciuta Maryse Condé, dalle tante contraddizioni, da deliri e rimpianti, in bilico tra colonialismo e post colonialismo. Là dove la fantasia popolare mescola realtà e finzione, come la penna della scrittrice sa intrecciare una narrazione tradizionale, figlia di quella orale, con passaggi formalmente sperimentali. La traversata della mangrovia è un ottimo viatico per scoprire il “mondo” di Maryse Condé e recuperare gli altri suoi volumi in commercio.
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