“Neandertal. Vita, arte, amore e morte”, illuminato saggio di Rebecca Wragg Sykes, riscrive il passato dell’umanità, dando conto dei tanti progressi in tema di scoperte preistoriche. I Neandertal non avevano a che fare solo con ghiaccio e mammut, erano molto più evoluti. E nel nostro DNA ci sono loro geni, sono a tutti gli effetti nostri antenati…
Dici Neandertal e pensi a dei brutali cavernicoli che si danno da fare in mezzo al ghiaccio, lontanissimi cugini con cui non abbiamo nulla o quasi da spartire. Poi ti imbatti in un saggio illuminato come quello di Rebecca Wragg Sykes, Neandertal. Vita, arte, amore e morte (454 pagine, 27 euro) per Bollati Boringhieri, traduzione di Francesca Pe’, e sei costretto a cambiare radicalmente opinione. Verrebbe da chiedersi “cosa ci hanno insegnato a scuola?”, ma la verità è che le tecnologie per indagare il nostro passato, anche quello più lontano, negli ultimi decenni hanno fatto passi avanti giganteschi e oggi gli scienziati da un minuscolo reperto sono in grado di cavare una quantità impressionante di dati, dati che hanno contribuito a riscrivere la storia degli esseri umani che più di ogni altro si avvicinano a noi, a noi Sapiens, e che quindi ci affascinano più di ogni altra forma vivente.
Sintesi e fruibilità
Non è un caso che il “prodotto Neandertal” – mostre, libri, perfino cartoni animati – sia tra i più venduti, secondo forse solo ai dinosauri, quando si parla di epoche lontane in cui la nostra specie non esisteva o non si era ancora affermata.
I primi reperti rinvenuti nelle grotte e nelle cave di ghiaia appartenevano soprattutto a specie come renne o versioni lanose di altri animali come mammut o rinoceronti. Così si impose l’idea di un mondo neandertaliano nella morsa dei ghiacci, ma per capire l’esperienza autentica dei Neandertal dobbiamo decostruire la singola e semplicistica “era glaciale” ed esplorare i tanti mondi diversi in cui vivevano, ciascuno con la propria fauna.
L’abilità della Sykes non è stata soltanto quella di sintetizzare, in un volume tutto sommato contenuto in termini di pagine, le migliaia di pubblicazioni degli ultimi anni, con tutte le indagini e le scoperte degne di essere prese in considerazione, ma anche quella di rendere un argomento che necessita di conoscenze tecniche approfondite, fruibile a tutti. Anzi “accessibile”, per usare il termine scelto da Yuval Noah Harari (l’autore del best-seller “Da animali a dei”) che ne ha incensato il lavoro sul New York Times convincendo la redazione del prestigioso quotidiano americano a inserirlo nella lista dei migliori 100 libri del 2021. Per Nature, invece, “Neandertal: vita, arte, amore e morte” è un saggio di divulgazione scientifica capace di distruggere ogni stereotipo.
Non solo l’era glaciale
Ed è verissimo: perché i Neandertal non avevano a che fare solo con il ghiaccio e i mammut. Hanno occupato l’Europa e parte dell’Asia per centinaia di migliaia di anni, attraversando più ere geologiche con diversi climi e habitat variegati: le ere glaciali ok, si sono saputi adattare, ma non solo. Hanno prosperato anche in zone temperate, vicino al mare, alcuni dei siti più ricchi esplorati negli ultimi anni (Schöningen in Germania o Abric Romaní in Spagna) hanno dimostrato che sapevano lavorare non soltanto la pietra, ma anche il legno e altri materiali come la resina, il bitume, le conchiglie, la cera d’api, facendone un uso intelligente e diversificato. Insomma, i Neandertal erano (anche) abili artigiani, capaci di riciclare, scegliere, manipolare. Non andavano solo a caccia, ma sapevano pescare e raccoglievano varie specie di vegetali con cui arricchivano la loro dieta. Sfruttavano a fondo la Natura che li circondava, fabbricavano vestiti con le pelli di animali, costruivano rifugi, in alcune circostanze seppellivano i loro morti, e forse si dedicavano pure a opere di creatività, all’arte.
Alcune domande senza risposte
Forse, già. Perché la scienza non è stata ancora in grado di rispondere a tutte le domande. Per esempio, non sappiamo perché si siano estinti circa 40 mila anni fa e quale ruolo ha avuto in questo senso l’Homo Sapiens, dato che l’uscita di scena dei Neandertal coincide pressoché con la comparsa dei Sapiens. Le ipotesi sono molteplici. Di certo c’è che le due specie si sono incrociate (non fuse, ma incrociate) e che nel nostro DNA ci sono tracce di geni dei Neandertal (ognuno di noi ne possiede attorno al 2%) che quindi vanno considerati a pieno titolo nostri antenati.
La Sykes ha anche un altro prezioso merito, quello di mostrarci il mondo Neandertal con gli occhi dei Neandertal – che se ci riflettete un attimo, non è poi una cosa così banale. Di fatto ci racconta una storia nuova dove noi Sapiens, contrariamente a ciò che accade di solito, siamo ai margini. Una storia che i nostri figli leggeranno sui loro libri di scuola, perché non ha a che fare con nostri lontani cugini, ma con l’umanità intera. Comprendere che posto hanno i Neandertal nella Storia del mondo è importante anche per assorbire il concetto che l’evoluzione degli Hominin non ha viaggiato dritta come una freccia da Lucy fino a Leonardo da Vinci. In altri termini, l’Uomo non è il prodotto finale. E i Neandertal ne sono una vivida testimonianza.