È scomparsa Marie-Claire Blais, autrice di un ciclo di dieci romanzi, di cui in Italia è stato pubblicato “Sete”. L’editore Safarà: “Dalle sue pagine violenza e bellezza”. In “Sete” Renata, un avvocato e suo marito Claude, un giudice, raggiungono i nipoti Mélanie e David, su un’isola, per la festa in onore di un bimbo…
Si è spenta ieri Marie-Claire Blais, scrittrice canadese, che da anni viveva a Key West. Ne ha dato notizia il suo editore italiano Safarà, che ha pubblicato nel corso di questo anno Sete (ne avevamo scritto anche qui): «Con i suoi libri Marie-Claire Blais, e in particolar modo con il suo celebre ciclo di romanzi “Soifs” – scrive la casa editrice – ha raccontato l’umanità sofferente, sempre dalla parte degli umili e degli emarginati, raccontando la malattia, la povertà, la guerra, l’esilio, la diversità. Dalle pagine di Marie-Claire Blais sgorgano violenza e bellezza, catturando, così, l’anima della nostra epoca». Nel 2022 Safarà darà alle stampe Dal fulmine la luce, il secondo volume del ciclo di “Soifs”, nella traduzione di Federica Di Lella.
Nell’arco di tempo che va dal 1995 al 2018, Marie-Claire Blais scrisse dieci romanzi, accomunati dalla speranza, come sottolinea Le Devoir, «i personaggi che attraversano questa saga tumultuosa affrontano un mondo alla deriva: la minaccia di una catastrofe nucleare, razzismo e intolleranze sessuali e religiose, violenza, divari sociali ed economici». Sete (336 pagine, 19,50 euro) è un’opera caleidoscopica, che richiede un approccio fedele e temerario da parte del lettore, al quale è chiesto di lasciare ogni cosa, prima di salpare per un’isola sconosciuta.
Celebrare la vita e il secolo che finisce
Quando Mrs Dalloway organizza la sua festa ed esce a comprare i fiori, quello che intende fare quella sera è celebrare la vita. Allo stesso modo, Marie-Claire Blais scrive Sete per fare altrettanto, non è un caso, quindi, che in esergo scelga proprio le parole di Virginia Woolf, questa volta tratte da Le onde. La vita è al centro di questo romanzo. È lì, tra prime righe con cui accoglie il lettore, quando Renata, un avvocato e suo marito Claude, un giudice, sono in procinto di preparare i bagagli per raggiungere la casa dei nipoti Mélanie e David, su un’isola non meglio precisata dell’Atlantico, certi di trovarla «illuminata per la festa, un incendio di luce si sarebbe irradiato dalle lampade, dai candelabri sui tavoli in giardino, dove si sarebbero diffusi nell’aria i profumi delle limette, delle acacie, delle pointille in fiore, una festa in onore di Vincent che aveva compiuto dieci giorni, diversi giorni e diverse notti di festa, le aveva detto Mélanie, supplicandola di andare». Oltre alla nascita di Vincent, si sta dicendo addio ad un secolo, siamo nel 1999, e si stanno chiudendo i conti con il passato. La vita è dentro quelle righe scritte senza prendere fiato, interrotte saltuariamente da un punto che non va mai a capo.
Memoria e desiderio
La vita scorre anche laddove i tessuti sono intrisi di malattia, come accade a Jacques, il cui corpo riporta ferite sempre più infette, ma nel quale continuano a fluire memoria e desiderio; capita a Renata che «aveva smesso di colpo di difendere i suoi clienti e non era per niente contenta di dover stare a riposo per qualche mese», preoccupata per la sua salute, ma che vede in questo viaggio quella convalescenza che la può riportare alla vita. La vita sta nel viaggio in zattera di Julio, emigrato da Cuba, che tenta di salvare la sua famiglia, «era difficile pensare che fosse lo stesso Julio che era andato alla deriva per due settimane su una zattera, con la madre, i fratelli e le sorelle, sulle acque dell’Atlantico in mezzo alla tempesta, alla burrasca, che distruggeva i viveri che strappava via dalla piattaforma quelli che ci stavano sopra». Non è forse sete di vita questa? Quella di Julio e di Renata e in qualche modo, anche quella di Vincent è una rinascita.
Difendersi dalle violenze del mondo
L’ultimo giorno del Novecento, si saluteranno gli orrori commessi dagli uomini e si guarderà in faccia ciò che il nuovo secolo potrebbe pericolosamente ricevere in eredità. Le persecuzioni e le violenze che hanno segnato gli anni del Novecento, riecheggiano nei nomi di alcuni protagonisti, come quello di Samuel, lo stesso di un prozio cresciuto a Lukòw, nel distretto di Lublino e trucidato nell’inverno del 1942. Quella dimensione concentrica in cui si trovano gli invitati alla festa è un modo per difendersi dalle violenze del mondo che minacciano di lasciare in eredità al nuovo secolo quella stessa insensibilità ai drammi altrui di cui si rimprovera Madre (la madre di Mélanie). Così la pena di morte inflitta ad un nero sconosciuto del Texas, che ossessiona Renata, nota proprio per le sue perorazioni in difesa dei diritti dei più deboli; la malattia di Jacques che apre ferite purulente, ma nel quale non cessa di fluire di continuo la memoria; la liquidità con cui è scritto il romanzo richiama sia le ferite di Jacques, che l’acqua dell’oceano sulla quale galleggia l’isola, non solo, sia la sacca amniotica in cui è cresciuto Vincent sia il liquido letale che verrà iniettato nel condannato a morte.
Vita e morte
Vita e morte continuano ad intrecciarsi in queste righe infinite. E ancora, i Bianchi Cavalieri che deturpano con la vernice rossa la barca di Samuel «proprio come un tempo il boia marchiava con il ferro arroventato la spalla dei condannati». C’è sete di vita, ancora una volta, in quei rapporti mai compiuti fra genitori e figli, come quello fra Madre e Mélanie, che ha tradito i sogni di grandezza della madre finendo per essere “solo una madre”, quando “per esistere pienamente nella vita bisogna rendersi indispensabili”. C’è anche Kafka e il rapporto con il padre, raccontato da Jacques, in quei giorni sta completando la monografia da presentare ai suoi colleghi di università, che vede in La metamorfosi «l’unica possibile via d’uscita, attraverso la maledizione della scrittura, perché in fondo con il simbolo dell’insetto prigioniero in una camera, Kafka aveva punito sia il padre sia il figlio».
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