“La crisi colpisce anche di sabato” di Cristophe Palomar scandaglia un’Italia inerme e in piena decadenza, attraverso le vite di alcuni personaggi fra Roma, Milano e Ferrara. Individui irresoluti, frustrati, strozzati dall’amarezza, ritratti a cavallo delle prime due ondate della pandemia da Covid 19
C’è crisi e crisi. E c’è un libro che s’immerge in quella interiore e in quella collettiva, economica, ma non solo, anche di relazioni e di sentimenti. L’autore è Christophe Palomar, che nel 2020 aveva scatenato diffusi entusiasmi con il suo primo romanzo, Frieda, e che ci ha riprovato con un romanzo assolutamente diverso, ma altrettanto importante, pubblicato ancora da Ponte alle Grazie nella collana Scrittori, La crisi colpisce anche di sabato (424 pagine, 18 euro).
Disagio e disincanto (per tacer della pandemia)
La lunga, ininterrotta e impietosa cronaca di un disagio, che colpisce al cuore l’Italia, e la rende inerme e disincantata. Ecco cosa troverete in queste pagine di Palomar, che si concludono con uno spaventoso boato, figlio di tanti piccoli boati disseminati lungo i capitoli. Quello con cui fa i conti Adriano Pasciuti, ciociaro trapiantato a Roma, pensionato, un matrimonio finito con Angelica, uno sguardo poco indulgente alla propria vita, ai ricordi di gioventù e ai rimpianti assortiti che ha collezionato, alla decadenza della capitale e a certa ottusa gioventù di oggi. Giovani non troppo diversi che Palomar ritrae in provincia, a Ferrara esattamente. Gesti noiosi e apatici, tra il cinema e la pizzeria di sei amici, che hanno pochi ideali e parecchia tristezza addosso, che non hanno nome, ma vengono definiti dall’autore solo attraverso un numero (ragazzo uno, due, tre, ragazza uno, due, tre). In mezzo Gioia Airaghi, a Milano, manager di una multinazionale: in un mondo che non ha tempo e quasi nemmeno più denaro, la donna fa i conti con la propria vita, quella matrimoniale (in crisi) e quella legata alla maternità (i difficili rapporti con la figlia Valentina). E naturalmente lavora in smart working, a causa delle restrizioni per limitare il Covid 19.
I libri ci salveranno?
L’ambientazione è super contemporanea, a cavallo delle prime due ondate della pandemia. Quel momento di speranza sospeso. La fotografia di un sabato italiano che Palomar scatta in modo preciso e spietato, senza compromessi, tra speranze deluse, identità spogliate e passioni esaurite. Ci sono al contempo ironia e lucidità nella voce dello scrittore nato in Alsazia da padre italiano e madre spagnola, che ha lavorato parecchi anni su questo congegno narrativo. I suoi protagonisti schiumano frustrazione e inquietudine, al di là dell’età, delle condizioni e dei luoghi in cui vivono. Sono irresoluti, strozzati dall’amarezza. A tutti loro fa da contraltare, nella quinta parte, quella conclusiva, di questo lungo romanzo, Ugo, fratello di Gioia, bibliotecario che vive in periferia, frequenta trattorie senza grandi pretese, non ha grandi rapporti con gli altri («ha sempre più bisogno di sentirsi distante dai suoi simili»), semmai preferisce leggere libri, meglio se Adelphi. Fuori dal coro, riservato (anche se ha una relazione passionale con l’egiziana Jamila), è uno dei personaggi più belli di Palomar, certamente quello che regala più speranze.
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