È un romanzo corale dal forte impatto emotivo, “Brucia l’aria” di Omar Di Monopoli. Torna la piccola comunità di Languore – in cui convivono progresso e decadenza, bello e brutto – assieme a qualche personaggio dei precedenti libri, ma la storia è a sé stante, raccontata con linguaggio immaginifico, meriterebbe di diventare il film di un grande regista
Recapitate questo libro a Alejandro González Iñárritu. O a Quentin Tarantino, se preferite. Perché Omar Di Monopoli con Brucia l’aria – espressione che nel Meridione può significare tante cose – ha fatto di nuovo centro, e il suo ghotic-western in salsa pugliese meriterebbe davvero una trasposizione cinematografica coi fiocchi. Anche questo romanzo è ambientato in quella sorte di contea immaginaria che Di Monopoli ci aveva già fatto conoscere con Uomini e cani e Nella perfida terra di Dio (ne abbiamo scritto qui), titoli del catalogo Adelphi. Alcuni dei personaggi vengono qui riproposti, ma non si tratta di un sequel o qualcosa di analogo. L’autore in qualche modo condensa in questo romanzo corale di forte impatto emotivo, tutto il suo universo.
L’ex galeotto redento e i guai che tornano
La storia è a sé stante e racconta di Rocco Caraglia, ex galeotto redento, il quale cerca di tenersi alla larga dai guai che pure sembrano chiamarlo per nome. Sullo sfondo una vicenda di vent’anni prima, un gigantesco incendio in cui il padre di Rocco – Livio, pompiere dai trascorsi ambigui – ci ha rimesso la pelle. C’è il fratello di Rocco, ancora minorenne (Gaetano, il cocco della mamma, anziana e costretta in una carrozzina) che non vuole saperne di rigare dritto; c’è la badante della madre, Nunzia, la sua vecchia fiamma; c’è il boss del posto – tale Precamuerti – che di ritorno dalla latitanza cerca di riorganizzare il mandamento e inevitabilmente finisce per distruggere i fragili equilibri sui quali si regge la piccola comunità di Languore; e ci sono gli “amici” di una volta, quelli della mala che lo tentano e lo rivorrebbero al loro fianco.
Non ti sto offrendo un posto da sguattero. Qua stamu parlannu della città, amico mio, della provincia intera, tutta ai piedi nostri. Io e te a sta manica di scimuniti ce li giochiamo come vogliamo, assieme. E che siamo più fessi di Precamuerti, noi?
Ferocia e sopraffazione
Lo scenario di Brucia l’aria (208 pagine, 17 euro), pubblicato da Feltrinelli, è quello della Puglia arida e desolata: siamo a poche decine di chilometri dalle mete turistiche che ne fanno una delle località più ambite a livello internazionale, eppure lontanissimi dal benessere o dalla legalità. Uno scenario tanto immaginario quanto verosimile in cui bisogna sapersi destreggiare con abilità per non farsi ingoiare dalla ferocia e dalla sopraffazione. I riferimenti letterari di Omar Di Monopoli si trovano al Sud, da Faulkner a O’Connor, passando per Bufalino o Consolo, e si avvertono tutti nel suo linguaggio immaginifico e tagliente che pagina dopo pagina finisce per diventare protagonista della storia tanto quanto lo sono i suoi riuscitissimi personaggi.
Sangue, sesso e soldi
All’inizio può capitare di fare un po’ di fatica nella lettura: la prosa è sinuosa, le parole non sono mai scelte a caso e vengono combinate con ironia e sagacia, l’uso di termini dialettali è costante e costringe il lettore, anche il più sbadato, a diventare un lettore consapevole. Ma bastano poche pagine per farsi prendere dalla trama congegnata in maniera magistrale (sangue, sesso e soldi: Di Monopoli non si fa mancare nulla), dai dialoghi carichi di tensione che finiscono per accrescere anche la credibilità interna del romanzo e dalla musicalità che la stessa lingua di Di Monopoli esprime. Ciò che colpisce/stordisce più di tutto, come improvvisi colpi di frusta, sono certi accostamenti che in Di Monopoli diventano cifra stilistica: il bello e il brutto, lì, a contatto; la meraviglia e lo squallore che si toccano; il progresso e la decadenza che convivono. Tutte contraddizioni (letterarie) che diventano potente metafora delle contraddizioni (tragiche) che popolano ogni Sud del mondo.
Lungo la periferia di Languore l’abbaglio del nuovo giorno accendeva di giunchiglia il colmo dei tetti regalando alle cose la fissità del sogno. Un vecchio Fiorino smarmittato con i guardiaspalle di Santo alla guida si staccò dal rettifilo d’asfalto della provinciale per perdersi nel dedalo di carraie che innervavano il vasto tratto di campagna tra la cittadina e il litorale.
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