La doppia parabola di Nino D’Angelo fra vita e carriera

Un percorso ascendente che consegna anche qualche insegnamento. Con “Il poeta che non sa parlare” (che è anche il titolo del suo ultimo album) Nino D’Angelo si racconta, in modo genuino, dall’epoca del caschetto d’oro ossigenato al presente di successi e importanti riconoscimenti. Con alcuni punti fermi: l’importanza delle origini umili, del sapere, della condivisione con “il popolo delle sue canzoni”

Sono rimasta davanti alla pagina per un bel po’, prima di decidermi a profanare lo spazio bianco. Non certo per mancanza di idee. Piuttosto il contrario. Ho dovuto smaltire gli effetti di un surplus di considerazioni che, congestionandomi le meningi, mi hanno rallentato la partenza. Talmente tante, infatti, le cose da dire a proposito di quest’ultimo libro di Nino D’Angelo (nella foto tratta dal suo sito ufficiale), che apre a riflessioni di natura sociologica, politica e antropologica travalicanti la portata letterale della narrazione, che ho serie difficoltà ad organizzarle nel numero circoscritto delle battute del pezzo. A ciò si aggiunge un ulteriore scoglio. Immagino già il nugolo di detrattori in azione. Minimizzano i meriti dell’autore e la qualità del suo lavoro. Assimilano il libro alle altre decine confezionate da ghostwriter e poi firmate da transeunti personaggi «famosi per un giorno», frutto non di autentica ispirazione, quanto piuttosto di esplicite richieste degli editori, smaniosi di dirottare occasionalmente verso la lettura il pubblico generalista. Me li vedo i blasonati intellettuali bacchettare dalla cattedra D’Angelo, sottolineando i limiti della sua scrittura: claudicante in quanto a tecnica, spessore, forza evocativa.

Scrittura grezza, messaggio senza mistificazioni

Un inutile sforzo, rimarcare il superfluo. Chi decide di leggerlo, sa che non siamo in odor di letterario. Non si stupisce affatto per la semplicità della struttura e l’essenzialità della lingua, in molti punti volutamente non limata, grezza così come decreta “il mestiere″ quando un racconto, puntando al messaggio, cerca il contatto diretto con il pubblico senza mistificazioni, nel segno della genuinità. Mi tocca, allora, neutralizzare pure la tentazione di spendermi in un’arringa. Non è mio compito, infatti, consegnare una memoria difensiva al posto di un consiglio di lettura. Per onestà intellettuale dichiaro la mia simpatia verso la persona e l’ammirazione verso l’artista, sentimenti che traspaiono dalla recensione. Ma in essa miro, invece, a soffermarmi su cosa ci si guadagna a immergersi in questo terzo libro di Nino D’Angelo.

Il cantante e il personaggio

La soluzione più saggia per sbloccare le situazioni difficili è sempre partire dal basico. Dunque, rompo il ghiaccio cominciando dal titolo, Il poeta che non sa parlare (256 pagine, 18 euro), edizioni Baldini+Castoldi, parte, insieme all’omonimo album di inediti, di un unico, nuovo progetto. Step successivo è anticiparne brevemente il contenuto. Si tratta di una collezione di racconti e poesie che rievocano aneddoti – alcuni inediti, altri già noti, alcuni dai toni più intimi, altri declinati sul filo dell’umorismo – attraverso i quali si compone, sempre più definitivo, l’identikit del ragazzo di San Pietro a Patierno. C’è il tassello riguardante l’uomo, Nino/Gaetano, che ha raggiunto la pesante consapevolezza d’essere bifronte. C’è quello relativo al cantante, che sente di dover fare i conti con la fatica che gli sono costati gli scatti di carriera. C’è, infine, quello che appartiene al personaggio, che deve disinnescare le ansie procurate dagli “attraversamenti” dei vari mondi durante il cammino evolutivo.

Due vite

Vestire i panni di icona di un pubblico, magnanimo nei consensi e nella fedeltà, ma impegnativo, per chi, in qualità di capofila e modello, ha avvertito la responsabilità di traghettarlo verso spazi culturali lontani da quelli di partenza, è un’impresa con anche ricadute psicologiche. Non poteva essere più pertinente, infatti, l’ammissione del dualismo che prorompe da uno dei capitoli introduttivi: «Io ho avuto due vite. Con gli stessi occhi, le stesse mani, gli stessi piedi, le stesse braccia, lo stesso cuore, le stesse orecchie. Ma con i capelli diversi, ossigenati e naturali. Queste due vite stanno sempre con me, vivono dentro di me, come il passato e il presente». Eppure, qualche volta è possibile sovrapporre e far coincidere il volto con il caschetto ossigenato degli esordi e quello con la pettinatura al naturale della maturità, solo telefonando allo psicologo. Un’intuizione perfetta come incipit di una parabola. Perché tale è Il poeta che non sa parlare. Una parabola sia nell’accezione geometrica di figura piana che può illustrare un percorso in questo caso ascendente, tanto in quella biblica di narrazione che, grazie alla forza delle similitudini, fornisce insegnamenti morali.

Artigianato e resistenza

Nino D’Angelo, nato come “peso mosca” della musica trash/pop regionale e approdato ai “supermassimi”, grazie anche a riconoscimenti come il Donatello, ricostruisce, prescindendo da un ordine cronologico, optando per il filo della contiguità per argomento, una carriera frammista alla vita, vera e propria opera di artigianato e di resistenza. Il suo libro è una sorta di “Poverty Safari” (safari nella povertà) realizzato grazie a una parola scritta che conserva il candore, l’accessibilità e l’energia di una chiacchierata tra conoscenti.
In un contesto dove la miseria sovverte anche i canoni della bellezza, poiché la necessità di arrangiarsi, di accontentarsi costringe perfino lo sguardo a venire a patti con il gusto estetico, obbligandolo a poggiarsi sul meno peggio, sull’improvvisato, sul disadorno – l’ornamento ha, infatti, un costo che spesso non ci si può permettere – l’aspetto di Nino D’Angelo non è stato pregiudizievole come lo sarebbe stato magari in ambienti borghesi. Il popolo “delle sue canzoni” – così il cantante definisce i fans – ha saputo vedere oltre il fisico emaciato e la sagoma sgraziata del ragazzo di periferia. Ne ha apprezzato le doti canore, si è identificato nei testi delle canzoni, si è fidato di lui, garantendogli la chance di farsi strada per nulla scontata.

L’importanza della cultura

Questo è una parte del sottotesto de Il poeta che non sa parlare. L’altro è che, in segno di gratitudine, Nino D’Angelo vuole spartire con i sostenitori il più prezioso dei suoi segreti: non tralasciare l’importanza dell’istruzione, del sapere. Oltre alla forza che trae dall’unità con la famiglia di origine, dal sostegno di sua moglie Annamaria, dall’amore dei figli – ormai uomini fatti -, oltre alla tenacia che gli viene dalla costante consapevolezza delle origini e dall’umiltà, sua bussola imprescindibile, il supporto su cui fa affidamento è la cultura. Ed è il monito a perseguirla per cambiare il proprio destino, come antidoto contro certe forme di bullismo da pseudointellettuali – che pure Nino D’Angelo ha subito con grande compostezza – il nocciolo del libro. «…Ho capito che l’ignoranza è una benedizione per i potenti, perché possono dire ciò che vogliono senza essere contraddetti. (…) Ho capito che il teatro è cultura, ma la cultura non vogliono che sia un diritto di tutti».

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