Area 22. Le infinite corrispondenze dell’alfabeto ebraico

Un universo di significato nell’ebraico e nelle sue lettere nella nuova puntata di Area 22. La storia dell’alfabeto e la più piccola sfumatura nella formazione del segno alfabetico sono al centro di un volume di Marina Busetto, che conduce in tante direzioni…

Quando le vicende della vita ci portano ad incrociare, per qualsivoglia motivo, la cultura ebraica, si rimane fortemente trasportati in un universo di significati, che fanno della realtà una mappa per il Divino. Molti di noi hanno perso il gusto per la Parola, forse strattonati dalle furie di una informazione sempre più aggressiva, abbiamo dimenticato da molto tempo, ormai, la sacralità che risiede in questo dono, che è la discriminante più umana e più divina che ci rende «investitori, designatori» (Genesi 2,20) e persino creatori di tutto il reale circostante (come stupisce la fisica quantistica, che scopre nell’Osservatore la variabile stessa dell’esito di un’osservazione scientifica e quindi della stessa realtà.) È come se, nell’atto di nominare, l’uomo, compenetrasse la natura dell’esistenza di ciò che egli nomina, concedendo un senso e un codice di percezione.

Perché i segni sono 22

L’ebraico, come lingua e come ermeneutica del linguaggio, non è una materia solida e finita, ma è un divenire intimo e personale, come lo è il percorso iniziatico dell’uomo sulla terra. Non puoi studiare l’Ebraico, né puoi penetrare quella tradizione mistica e meravigliosa che è la Qabbalah, senza indagare te stesso, i tuoi pensieri e il Divino che è in te. Questa è forse la ragione per cui, di fronte alla vastità dell’argomento, non ci resta che iniziare dalla Luce, che si è fatta voce nello scheletro di un segno, che, modulato, è divenuto fonema, lettera e quindi Parola, perché, ad esser pedanti, in ebraico, la lettera è essa stessa parola, che racchiude un Archetipo, con il suo ventaglio di significati sui vari livelli di consapevolezza e conoscenza. Dei molti studi sull’alfabeto, trovo interessante l’analisi di Marina Busetto nel suo libro I segreti dell’alfabeto Ebraico, dove s’indagano le vie della formazione dei 22 segni, con il loro corrispettivo ghematrico e le varie implicazioni semantiche. Ogni lettera ha una sua storia, che l’autrice ricava dal predecessore codice geroglifico, risalendo alle radici misteriche della valenza pittorica della scrittura.  Perché i segni siano 22 non è un caso, poiché l’ebraico inscrive l’alfabeto nelle 22 vie di connessione tra una Sephira e l’altra dell’albero della vita (in ebraico: עץ החיים‎, Etz haHa’yim).

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La Qabbalah e i quattro livelli

Questa è la base della Qabbalah che, molto distante dal pensiero occidentale moderno, si ripromette di studiare ogni cosa scritta secondo 4 livelli di interpretazione che si riflette nell’acronimo PaRDès (פַּרְדֵס ) in Ebraico significa giardino (da cui deriva la parola “paradiso”) ovvero:

  • Peshat (in ebraico: פְּשָׁט‎) — “superficie” (“diretto”) o significato letterale. 
  • Remez (in ebraico: רֶמֶז‎) — “allusioni” o significato profondo (allegorico: nascosto o simbolico).
  • Derash (in ebraico: דְּרַשׁ‎) — dall’ebraico darash: “indagare” (“ricercare con cura”)  esegesi comparativa secondo lo studio midrashico.
  • Sod (in ebraico: סוֹד‎) (“segreto” (“mistero”) o significato esoterico/mistico, ottenuto tramite ispirazione o rivelazione.

 

L’autrice nel libro argomenta con determinazione e perizia la più piccola sfumatura nella formazione del segno alfabetico e ne ricostruisce la storia e le fondamenta. Per riportare qualche esempio prendo spunto dalla formazione di quelle che sono definite lettere “madri” in ebraico, poiché in esse risiedono i 3 elementi alla base di tutta la creazione, ovvero lo Spirito nell’ Aleph  א, l’acqua nella Mem  מ, e il fuoco nella Shin ש.  

Si dice che la piccola Yod י sia il seme dal quale prendono vita tutte le altre lettere, questa ha valenza numerica o ghematrica 10, perché in Ebraico ogni lettera è anche cifra, infatti, la composizione di una parola ha anche una valenza numerica e due parole con la stessa valenza numerica, sono affini, complementari o comunque correlate. Non a caso è proprio la YOD la prima lettera del tetragramma sacro con il quale gli Ebrei chiamano (ma mai pronunciano) il nome di Dio YHWH in ebraico   יהוה. La YOD, divenuta yota in greco è la più piccola lettera, ripresa anche da Gesù nei vangeli, come esempio di piccolissima parte, è assimilabile però anche al centro di tutte le cose e quindi a Dio stesso. Difatti, nello scritto dei 44 filosofi si dice che Dio «sia una sfera infinita il cui centro è ovunque e la sua circonferenza in nessun luogo». Altra curiosità è che l’ebraico rintraccia una similitudine tra le Scritture che sanciscono che l’uomo è fatto ad immagine di Dio e la trasposizione in verticale del tetragramma sacro, che sembra rappresentare stilisticamente l’uomo e che, poi, nel nome di Gesù Yhswh (Yeshwa) aggiunge una Shin ש  al tetragramma, collocata in petto a questa figura, rappresentando l’unzione del fuoco cristico nell’uomo.

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Tarocchi e DNA

Nel libro della Busetto, inoltre, ritroviamo interessanti spunti di riflessione anche in merito ai più recenti studi che hanno fatto riemergere dei parallelismi tra le lettere ebraiche e gli Arcani Maggiori dei tarocchi, anche questi 22. Sancendo questa segreta alleanza, che affonda le sue radici nel puro ermetismo, il segno viene ricostruito all’interno di un significato più complesso, come può essere, nella lezione dell’autrice, l’intricato resoconto circa la lettera ebraica ס (Sàmek) e l’arcano quindicesimo, ovvero il diavolo. Nell’antica tradizione orientale l’Essere, Unità allo stato puro, viene chiamato “SAT” agli antipodi, la lingua pone una sonante “an” privativa per definire la disgregazione dell’unità divina, quindi definita “AN-SAT”, che diventerà “SATAN”, l’avversario, l’opposto o più familiarmente “SATANA”.  Nell’unità a cui siamo chiamati, nulla può separarsi da Dio, solo contrapporsi simmetricamente a Lui e, in ogni più piccola cosa, se siamo capaci d’ascolto e d’attenzione, la vita può spiegarci molto più di ciò che comunemente si comprende. Un Qabbalista troverà sempre nuove corrispondenze nelle Scritture, semplicemente perché non ha mai osato credere che la Parola di Dio possa ritenersi una parola morta o anacronistica. Alcuni studiosi hanno addirittura trovato grandi somiglianze dell’alfabeto ebraico con quello genetico (cfr. DNA Ebraico di Shazarael). Lo stesso nome Ghenom (genoma in ebraico) equivarrebbe numericamente alla parola yedihà che significa “informazione”. Il tetragramma sacro sembrerebbe contenere la stessa valenza numerica del valore di Massa atomica delle componenti di una molecola di DNA che contiene : Idrogeno (valore ridotto massa atomica 1 come YOD), azoto (con valore ridotto di massa atomica 5 come la He), Ossigeno (con valore ridotto di massa atomica 6 come la WAWù) ai quali bisogna aggiungere il Carbonio, ovviamente presente nelle molecole di DNA, che rappresenta il composto alla base della Materia, rappresentato dalla Ghimel, anche qui il valore del peso atomico ridotto del Carbonio è 12 (numero importantissimo e molto ricorrente nelle Scritture) che in ghematria di riduce a 1+2= 3 perché 3 è la valenza numerica di Ghimel. Quindi questo esercizio speculativo, se vogliamo, vuol unire YHWH alla materia (ghimel), conferendo un significato trasfigurato al nostro stesso DNA, base della vita sulla terra. C’è anche chi ha paragonato il cubo o scatola che contiene i tefillìn alla cellula. Secondo antichi rituali ebraici, durante alcune celebrazioni, si indossano lunghi nastri di cuoio avvolti alle braccia e una scatola cubica, dove lunghi rotolini di pergamena raccolgono le sacre Scritture, rigidamente ricopiate secondo canoni severissimi, proprio come accade per il nostro DNA che, custodito in una cellula, se presenta degli errori, compromette la salute dell’individuo. Per finire, le coppie cromosomiche sono 22+1 quest’ultima determina il sesso, durante la gestazione. Anche qui, padre “Av”, in Ebraico. e Madre “Em” danno come somma ghematrica 44 che è il valore numerico della parola yélèd che significa “bambino”. Leggere “I Segreti dell’alfabeto Ebraico” è come scoprire un mondo, per chi ha voglia di indagare il senso di ogni più piccola parte della nostra vita.

La Parola tra cielo e terra

Ormai si vive nella megalomania del mondo moderno e riteniamo poco più che giochi ridicoli interessarci di tali piccolezze, quando, invece, l’uomo dovrebbe fare monito eterno “del conoscere sé stesso” che è ovunque posi la sua attenzione, noi “siamo” nella misura in cui “comprendiamo” e conosciamo. Forse la Qabbalah è una forma di attenzione che allena la mente a non disattendere i significati dell’istante che ci viene dato in dono. La Parola Divina, proprio come il Pentateuco trascritto tutto d’un fiato nelle tradizioni più antiche, rimane ininterrotta tra il cielo e la terra, perché prima dell’illusione di Babele era una, come Uno è Dio.

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