Dio e la preghiera contro l’incubo di un rapimento e di torture, la fede di Giuseppe Taliercio contro la furia e le convinzioni degli aguzzini della lotta armata. Pierluigi Vito, autore de “I prigionieri” immagina e trasfigura una delle peggiori azioni delle Br negli anni 80. Un libro che cerca di ricordare e onorare i tanti morti di un periodo nefasto…
«Non una ricostruzione cronachistica… ma un tributo alla memoria di un periodo crudele e nefasto per l’Italia». Con queste parole Pierluigi Vito, autore de I prigionieri (258 pagine, 15 euro), pubblicato da Augh Edizioni, inquadra il proprio libro nel quale si ripercorre la vicenda di Giuseppe Taliercio, dirigente del Petrolchimico della Montedison di Porto Marghera, rapito dalle Brigate Rosse nel maggio del 1981.
La vittima e il carnefice
Una pagina dolorosa della storia repubblicana, purtroppo non l’unica, che viene qui sviscerata, mettendo uno di fronte all’altro i due protagonisti: la vittima e il suo carnefice, in un rapporto indefinito che vedrà un totale ribaltamento dei ruoli. La fede incrollabile di Taliercio, che gli consente di affrontare con dignità e speranza i giorni della prigionia, urta contro la convinzione granitica dei suoi aguzzini, fedeli all’ideale della lotta armata. Ma ora dopo ora, colloquio dopo colloquio, le certezze dei brigatisti inizieranno a vacillare davanti alla compostezza del loro ostaggio che, seppur assunto a simbolo del male capitalistico, riuscirà a trovare in Dio e nella preghiera un fondamentale appiglio per non crollare e per trovare il senso di quell’incubo.
La memoria di quel che è stato
Le incursioni psicologiche nei diversi personaggi della trama, l’utilizzo di un linguaggio preciso e sartoriale per ciascuna figura, la dovizia dei particolari consentono di immedesimarsi nelle turbolenze di quegli anni in cui le lotte per i diritti dei lavoratori acquisirono toni cruenti, lasciando sul proprio cammino una scia di sangue e di morti che questo libro, in parte, ha cercato di ricordare e di onorare.
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