Contro ciechi e avidi interessi di industrie minerarie e contro le mafie dei narcos, uomini e donne delle minoranze del Sud America hanno lottato fino a morire. Un catalogo di sconosciuti, se le loro storie non fossero state raccolte in un volume curato da Salvatore Inguì, “I martiri dell’America Latina – Difensori della Terra”
«C’è un’ipotesi migliore, per cui battersi e morire, e vorrei che la conoscessi almeno un po’…» così recita una (ormai) vecchia canzone di Daniele Silvestri. Ma stavolta non si tratta del marxismo, né della luminosa figura del Che, a cui quel brano è dedicato. Non si tratta di un’idea a carattere ipotetico, bensì di quanto più reale e universale ci sia per gli uomini. Si tratta della Madre Terra, e del cruento sacrificio dei suoi Difensori consumato in un drammatico e omissivo silenzio dei media.
Il testo che ho avuto in mano – I martiri dell’America latina – Difensori della Terra (152 pagine, 12 euro), edito da Navarra – è un salutare pugno nello stomaco, e porta il nome di Salvatore Inguì come autore principale e ideatore: a lui vanno fatti i complimenti per il grande lavoro di ricerca e sintesi. Ma per molti motivi si tratta di un libro corale. Sul piano formale, andrebbero segnalati i tre contributi presenti prima e dopo il corpo del testo (ad esempio, la postfazione di don Ciotti), o almeno il nome di Giorgio Brugaletta, che con i suoi disegni accompagna e aggiunge profondità narrativa alle storie raccolte grazie alla sua abilità e sensibilità ritrattistica. Soprattutto, il libro è corale perché fa emergere uno dietro l’altro questi nomi, questi volti che rischiano di diventare cadaveri della storia ammassati nella fossa comune della dimenticanza, dell’ignavia. Ma chi sono? Uomini e donne che sono morti per difendere il diritto alla terra delle loro comunità, il diritto della Terra contro la cieca e stupida avidità di uomini lontani che non hanno dismesso lo spirito colonizzatore. Infatti, si tratta di uomini e donne quasi tutti indios come li chiameremmo noi, appartenenti cioè alle tante minoranze dell’America Latina. E dunque facili prede dell’odio razzista, che aspettava solo un motivo qualunque per spazzarli via. Figuriamoci quando il motivo sono i soldi, tanti soldi.
Una processione di fantasmi, una litania di nomi
Salvatore Inguì narra sinteticamente le vite e le morti di questi eroi sconosciuti; volti e storie si susseguono nel testo come una processione di fantasmi che nessuno vorrebbe rivedere. L’autore è molto bravo a mantenere il sangue freddo, e non si fa prendere dalla retorica come il sottoscritto. Procede con fare marziale in questa quasi incredibile litania di nomi: Isidro Lopez, Santiago Maldonado, Cristian Rìos, Carlos Hernandez, Maxciel Pereira dos Santos…Ammettiamolo, per molti di noi questi nomi potrebbero essere soltanto parte di una sgangherata formazione della Copa Libertadores. Ma invece è tutta gente che è morta due volte: perché non si è arresa alle intimidazioni e hanno dato la vita per difendere la Terra dei propri villaggi dalle speculazioni esterne, e poi perché nella stragrande maggioranza dei casi le TV corrotte come i governi locali misconoscono o sminuiscono la morte degli stessi:
Ormai le campagne di delegittimazione dei singoli capi o delle loro associazioni in lotta per i diritti civili e per la giustizia sociale hanno come obiettivo di criminalizzare i militanti attraverso false accuse e attraverso anche arresti illegali e ingiustificati ma con prove false…poi da morti, si compie definitivamente il piano di annientamento della persona attraverso i media, fornendo solo poche righe di descrizione del fatto in una pagina che reca un elenco quotidiano di morti ammazzati senza distinzione tra regolamenti di conti tra criminali, morti per incidenti casuali e vere e proprie aggressioni mafiose contro le comunità indigene. Normalmente la notizia non viene nemmeno accompagnata da una fotografia con il viso dell’innocente assassinato, proprio per far sì che la memoria si cancelli il prima possibile.
Paradossalmente, almeno noi grazie allo straordinario lavoro grafico di Brugaletta, possiamo farci un’immagine di questo dolore innocente reietto e infangato. Nella maggior parte dei casi si cerca di archiviarli come incidenti, se non addirittura come suicidi.
La strage di donne fiere e coraggiose
Le donne poi. La presenza delle storie femminili non è una banale quanto triste quota rosa in questo libro. Queste figure di donne sono spesso preponderanti nelle loro comunità ed hanno una leadership riconosciuta. Da Berta Càceres, honduregna che si oppose alla deforestazione imposta dalla locale impresa nazionale per l’energia elettrica, a Guadalupe Tapia, giovane messicana che si opponeva alla mafia del legname, abbiamo a che fare con donne giovani e fiere, spesso anche madri di famiglia, che però non hanno saputo sottrarsi al richiamo supremo della responsabilità verso gli altri, della coerenza ma soprattutto della riconoscenza verso la Terra. Donne coraggiose, luminose nella dignità, che vengono assassinate come carne da macello.
Contro le multinazionali e i cartelli della droga
Ma chi sono gli autori, i mandanti di tali massacri? Alla sbarra c’è l’illimite voracità del capitalismo del commercio globale, i paladini dello sfruttamento delle risorse di questa povera gente. Parliamo quindi non solo dell’industria del taglio e dell’esportazione del legname, ma anche le grandi industrie minerarie o petrolifere, e le multinazionale delle monoculture intensive che lì come altrove distruggono il territorio lasciando comunque nella fame la manodopera locale e corrompendo i governi per le concessioni. In molti casi, si tratta di enormi espropriazioni terriere, spesso illegali ma sempre illecite, con i leader delle proteste pagano dazio con la vita. È difficile dare l’idea della gravità e della portata di questo fenomeno corruttivo e cruento. Nel Centro e Sudamerica esistono perfino numerose sigle come la FRENAPI (Fronte Nazionale dei Popoli Indigeni) che cercano di confederare le varie tribù per combattere in maniera unitaria questa lotta. Ma le situazioni più gravi le troviamo forse in Messico e in Colombia: «secondo Amnesty International e Front Line Defenders nel solo 2017 sono stati uccisi nel mondo circa 313 difensori dell’ambiente e dei diritti umani; di questi, 212 sono latino-americani; e di questi, ben 92 sono stati uccisi in Colombia» (p.63). Il motivo è facile da immaginare: in quei paesi vi è la mafia dei Narcos coi suoi interessi, che agisce molti meno scrupoli rispetto alla parvenza di rispettabilità che devono tenere altri gruppi di sfruttamento, e con la quale talvolta gli interessi torbidamente e tacitamente si mescolano. Si veda ad esempio la storia di Isidro Lopez (pp. 31-33). Ma sulla sua tomba – racconta Salvatore Inguì – secondo la visione della vita dei Maya, viene riportata una sola data, quella della morte, perché è quello il momento in cui inizia per il suo spirito la Vita Vera (singolare parallelismo con l’escatologia cristiana!). E così, il giorno del suo assassinio, «il 15 gennaio 2016 è nato Isidro. Evviva Isidro».
Prendersi cura del mondo
Le motivazioni, infine. Nessuno arriva a tanto se non ha una spinta ideale fortissima, che va al di là del mero altruismo e della consapevolezza sociale. Non basta il possesso atavico delle terre. I popoli che abitano da secoli e millenni i fitti boschi di Sierra Nevada e le foreste dell’Amazzonia hanno evidentemente qualcosa in più.
La loro fede, la loro concezione religiosa che plasma le scelte di vita, sociali e politiche, è una sola: la vita sulla Terra ci viene concessa perché ci si possa prendere cura del mondo che ci è stato affidato. Punto. Semplice. Immediato. Chiaro. I comportamenti che ne conseguono sono solo volti al bene delle Terra e viene bandito tutto ciò che può essere di nocumento.
Questa attenzione alla cura del creato non può che essere un valore universale e interreligioso, ed è ormai noto come sia al centro della pastorale di Papa Francesco a partire dalla sua enciclica Laudato si’. Lo ricorda anche don Ciotti nella sua postfazione: quante volte l’odierno pontefice ha stigmatizzato la globalizzazione dell’indifferenza… «Per me cristiano – scrive don Ciotti – le storie di coloro che non a caso Salvatore Inguì definisce martiri, sono trasposizioni umane della storia di Gesù Cristo. Per chiunque, sono fari di speranza e pungoli a un cambiamento prima di tutto interiore, poi il più possibile condiviso».
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