Un processo penale disseminato di errori e pieno di tracotanza da parte dell’autorità giudiziaria in “Fortunato”, avvincente romanzo di Bruno Larosa, che nella vita è anche avvocato penalista e docente universitario. Spiccano i personaggi credibili, che restano nella mente dei lettori, a cominciare da un legale che, cercando la verità, fa solo il proprio dovere
Nulla più del concetto di giustizia mostra una natura ineffabile, almeno fino a quando non si prova sulla propria pelle il significato del suo esatto contrario, l’in-giustizia. Solo in questo caso, forse, ciò che facciamo fatica ad esprimere prende forma in parole che descrivono tutta la frustrazione ed il senso di impotenza che si prova dinanzi un torto subito. Di giustizia, ma soprattutto di ingiustizia, ci parla Bruno Larosa (nella foto di Giovanna Izzo) nel suo ultimo romanzo Fortunato (348 pagine, 17 euro), pubblicato dalla casa editrice Ronzani nella collana ATTRAVèRSO diretta da Luisa Maistrello. L’autore che non è solo un romanziere, ma avvocato penalista e docente universitario di diritto, ci spinge tra le falle del sistema giudiziario italiano, un tema più che attuale.
Vittima di un’ingiustizia
Fortunato Ardore ha 65 anni, vive a Tre Arie, una piccola frazione del comune di Antonimina, ai piedi dell’Aspromonte. La sua è una vita semplice, fatta di lavoro e famiglia, di tanti sacrifici e poche pretese che non gli impediscono, però, di diventare vittima di un’ingiustizia. Una notte viene arrestato con l’accusa di essere un componente della ‘ndrangheta e di avere partecipato ad una riunione di boss locali. Inizia per lui un processo penale e un percorso giudiziario disseminato di errori e di tracotanza da parte dell’autorità giudiziaria, mentre la sua vita viene stravolta. A ricercare la verità, però, c’è l’avvocato Castiglione, suo cugino, che si trova coinvolto non solo a scagionare un innocente, ma altresì a cercare il colpevole dell’omicidio del commissario Valenti, il poliziotto che ha arrestato Fortunato.
Un sopruso dello Stato
Il giallo giudiziario, che si snoda tra Napoli e la Locride, mette in luce le inquietudini e le sofferenze in cui può sprofondare un probo cittadino vittima di un errore giudiziario, quel sentimento di incertezza e di paura che si prova quando si è in totale balia di qualcun altro, peggio ancora se quel qualcuno è lo Stato che deve proteggerci ed invece diventa autore di un sopruso, una prepotenza. Larosa dimostra di non avere remore nell’evidenziare le falle del sistema penale italiano, ma allo stesso tempo sceglie come “paladino” della giustizia un avvocato che, apparentemente può sembrare l’eroe che tenta di salvare la vittima innocente, ma in verità sta solo svolgendo diligentemente il suo lavoro: la ricerca della verità, intesa come corrispondenza alla realtà. Non può esserci giustizia senza verità, è questo che pensa Castiglione, il giurista che sente forte il senso di disgusto verso il sistema, ma allo stesso tempo crede saldamente nella giustizia. Ancor di più in contesti difficili, come può essere la Calabria, in cui spesso l’indipendenza, la terzietà e l’autonomia di pensiero dei giudici rischiano di diventare principi vuoti, soprattutto quando si procede per reati di ‘ndrangheta, un’associazione malavitosa in grado di pervadere ogni e affliggere ogni aspetto della vita sociale.
Forte e vivido restava il disgusto provato per tutto quanto era successo. Vedeva l’oscura dimensione della falsità di quel mondo; sentiva il profumo di carne marcia proveniente dall’ipocrisia di un ambiente in lenta decomposizione, senza che nessuno faccia nulla per porvi rimedio.
La scoperta e la sorpresa
Larosa sa creare suspense nell’intrecciare la trama del giallo che non ruota soltanto nell’errore giudiziario di cui è vittima Fortunato, ma anche nell’omicidio del commissario Valenti che, in qualche modo, è collegato alla vicenda principale. Il lettore s’immedesima nella spasmodica ricerca della verità da parte di Castiglione e del magistrato Schiller e si scervella nell’intuire l’autore del delitto, rimanendo totalmente sorpreso nel momento in cui lo scopre. L’autore dipinge il profilo di personaggi che sono assolutamente credibili e non è difficile intuire che l’ispirazione arriva dalla vita di tutti i giorni all’interno delle aule di tribunale. Sono personaggi che restano impressi nelle mente del lettore e di cui vengono tratteggiate sapientemente luci ed ombre: messi di fronte a scelte difficili, rilevano il loro carattere più intimo, mostrano chi sono veramente. Forte è l’empatia che suscita nel lettore Castiglione, ma anche quella che lo stesso avvocato prova nei confronti del cugino che si trova inerme e impotente dietro le sbarre.
Sentiva salire rapido e poderoso il turbamento che aveva generato quell’ingiustizia. La pativa come propria. Gli apparteneva allo stesso modo di come a ognuno spetta la sofferenza del mondo.
Un giallo giudiziario avvincente e ben riuscito.
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