Con “Fai ciao” Flavio Ignelzi si conferma scrittore non convenzionale, con uno sguardo sbilenco sulle realtà. Protagonista un adolescente che si fa guidare più dalle pulsioni che dai sentimenti. Ignelzi affila le lame spuntate dei nostri sensi per affondare nelle infinite possibilità e impossibilità del reale
Caro lettore, fai ciao al classico romanzo di formazione.
Fai ciao alla narrazione scontata sull’adolescenza.
Fai ciao al consueto quadretto familiare con mamme eroine del quotidiano e padri genitori per caso.
È arrivato in libreria Fai ciao (196 pagine, 14 euro), di Flavio Ignelzi, Polidoro editore, romanzo con il quale l’autore beneventano si conferma scrittore non convenzionale.
Se hai visto all’opera Ignelzi nelle puntate precedenti – Loro sono Caino (Augh! Edizioni) e I punti in cui scavare (Polidoro editore) – sai bene che a lui piace “farlo strano”.
Anche in quest’ultimo romanzo il concetto è ribadito con efficacia.
Un adolescente, un coltello, un cellulare
Si prenda un adolescente – Samuel – con problemi relazionali di una certa complessità. Lo si collochi in un ambiente familiare altamente disfunzionale e in un contesto scolastico di bullismo reiterato. Si selezioni al massimo grado il livello di difficoltà dell’esistenziale quotidiano, inserendo un divorzio conflittuale. Si sottragga, quindi, al nostro protagonista la figura parentale di riferimento, il padre – parte emotivamente ed economicamente soccombente nella separazione – e lo si accolli alla madre, acculturatasi all’università del centro commerciale, imbottitasi fino a valori tossici di sogni stereotipi da martellamento pubblicitario – relazioni extraconiugali senza impegno comprese. Si mettano tra le mani di Samuel: un coltello e un cellulare. Si faccia, infine, comparire al suo fianco, in qualità di amica, una Arabella non qualsiasi.
Curioso? Lo credo bene.
Complesso, ma accessibile e godibile
Se mi è proibito aggiungere altri dettagli relativi alla trama del romanzo, in ottemperanza ad un obbligo generico di non spoilerare le storie e ad uno più specifico di preservare l’effetto sorpresa consustanziale ai generi iperrealismo magico (esigo qui diritti di copyright) pulp, noir e thriller, a cavallo dei quali colloco la scrittura dell’autore campano, posso tuttavia abusare ancora del tuo tempo, lettore, per chiarire che la struttura complessa del romanzo non ne intacca minimamente né l’accessibilità, né la godibilità. Ignelzi sa il fatto suo. Ha ben chiare le regole del mestiere. È consapevole di quando e dove può andare giù pesante e quando e dove giocare in disimpegno. Ha una perfetta padronanza della lingua: contemporanea e nello stile e nel lessico, in assoluta armonia con l’identità e la personalità del protagonista.
Fuori dall’impianto classico
Magari, lettore, spendo qualche parola pure per rassicurarti sulle prospettive educative di questa “favolaccia”, perché non è tutto passatempo quello che luce e di morali da trarre ce ne sono.
I personaggi di Ignelzi, costituzionalmente fragili, impreparati a fronteggiare e processare le prove imposte dai tempi, si inseriscono in quello che, visto in prospettiva, sembra essere un progetto di ricerca antropologica sulle relazioni sociali in un’epoca di transizioni – meglio di rotture – che accomuna tutti i suoi scritti. Anche Samuel, come altri protagonisti del mondo ignalziano, più che dai sentimenti, agisce guidato precipuamente dalle pulsioni, che dei sentimenti sono la sublimazione, l’estremizzazione. Fai ciao si incastra perfettamente nel disegno cui accennavo, integrandolo con l’importante capitolo dedicato all’adolescenza. Ed ecco calzare a pennello l’etichetta di romanzo di formazione anche ad una narrazione che si sviluppa fuori dall’impianto classico.
L’autore? Un arrotino
«La cosa più bella dell’essere una scrittrice – scriveva Shirley Jackson – è che puoi permetterti di abbandonarti alle stranezze quanto vuoi».
Così sia. La forza di Ignelzi sta lì, nelle stranezze. Nell’ostinazione ad indagare il punto estremo, quello di liquefazione e nell’illuminare l’angolo buio, o meglio, il dettaglio infinitesimale del recesso più oscuro, attraverso una lente addirittura deformante. L’occhio del nostro autore cade sulla realtà in modo sbilenco, ed egli nemmeno ci prova a raddrizzare quel suo sghembo punto di vista mentre lo traduce sul foglio. Solo così il difetto, l’aberrazione, l’errore cognitivo e percettivo, sia del singolo che del corpo sociale, diventano immaginabili anche agli ipovedenti come noi. Come un arrotino, Ignelzi affila le lame spuntate dei nostri sensi così che possano affondare nelle infinite possibilità e impossibilità del reale.
Caro lettore, mica Fai ciao a questa intrigante opportunità?
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