Navid Carucci ci apre le porte di un mondo ai molti sconosciuto, l’India Moghul del XVI sec. tra gli esotici incanti dell’immaginario orientale e la riflessione sulla modernità in un altrove spazio-temporale. “La luce di Akbar” dimostra che il romanzo storico italiano è vivo gode di ottima salute
Se aprire un libro significa entrare in un mondo, alcuni libri riescono meglio di altri nell’accompagnarci all’esplorazione di mondi ignorati, sconosciuti o troppo lontani. La luce di Akbar – Il romanzo dell’Impero Moghul (256 pagine, 18 euro) di Navid Carucci, pubblicato dalle edizioni La Lepre, riesce benissimo in questo, aprire le porte ad una esperienza narrativa che allarga le conoscenze, le prospettive e allo stesso tempo permette di viaggiare attraverso una storia complessa e allo stesso tempo attenta al sentire umano universale.
L’imperatore illuminato, il dialogo fra religioni
Siamo nella neonata capitale dell’impero Moghul, Fatehpur Sikri, l’epoca è il XVI sec. dell’era cristiana, X sec. dall’Egira, la scena si apre nella “Casa del Culto”, il luogo che l’imperatore Akbar ha designato per il confronto e l’incontro delle grandi religioni dell’epoca (Islam, Induismo, Cristianesimo, Zoroastrismo, Ebraismo) con lo scopo di trovare una sintesi mistica oltre le differenze di credo.
Mentre i saggi dibattono sulla vera religione e sulla dimensione divina, la corte di Akbar vive come qualunque altra corte in qualunque altro momento; sfarzo, lotte intestine, dominio, sete di potere, arrivismo, amore, amicizia, erotismo, dedizione si alternano tra i personaggi e nei personaggi.
Il romanzo presenta un intreccio narrativo tale da consentire il dipanarsi di filoni differenti. Il romanzo storico in sé con la narrazione della corte Moghul e la figura centrale di Akbar introduce il lettore alla storia dell’India prima del Raj britannico, uno stato con una forte connotazione culturale, un impero aperto ai diversi culti e allo scambio tra civiltà. Akbar rappresenta il fulcro di un ambiente illuminato; conquistato il potere e pacificati i diversi territori, l’imperatore si presenta in antagonismo con la chiusura in atto nell’impero ottomano e in cerca di un dialogo con il lontano Occidente (rappresentato alla corte dai missionari gesuiti).
Padri e figli
Parallelamente ai personaggi storici, troviamo personaggi di invenzione concepiti per rappresentare l’umanità insita in ogni contesto. Se Akbar deve fare i conti con i membri della sua corte e soprattutto con la lotta per la successione del suo primogenito Salim, come contraltare Carucci ci presenta i personaggi di fantasia di Jamal, cortigiano convertito all’Islam per ambizione, e suo figlio Samir.
Si tratta di una sorta di dittico relazionale della genitorialità; la differenza tra le due coppie di personaggi non potrebbe essere maggiore soprattutto nella connotazione del rapporto padre-figlio. Akbar e Salim sono uniti dall’amore e dalla forzata aspettativa reciproca; Akbar vuole vedere riflessa e continuata nella discendenza la propria grandezza; Salim vuole soddisfare sia il padre che le proprie ambizioni. Jamal aspira ad un posto nella corte e a conquistare una posizione per il figlio che anela solo ad una felicità intima.
I due figli, Salim e Samir, si presentano molto vicini alla nostra sensibilità; ci troviamo dentro un romanzo di formazione in cui Samir, attraverso la rottura con il padre e il disconoscimento delle sue scelte, trova una strada del tutto diversa, porta avanti una ribellione per affermare una personalità non assoggettata alle logiche del potere. Salim porta invece il peso dell’essere figlio del più grande uomo del suo tempo, in lui l’abnegazione si alterna all’ambizione di primeggiare in una corte insidiosa dove la successione non è affidata alla primogenitura.
I personaggi sono sfumati, non ci sono buoni o cattivi. Tutti sbagliano, tutti hanno momenti di elevazione. Tutti perdono in qualche modo. Tutti vincono, che sia una vittoria reale o solo frutto della propria visione del mondo.
Il quadro manca quasi del tutto della figura femminile, relegata nell’harem. L’unica donna che incontriamo è Man Bai la principessa Indù che sposerà Salim e che vivrà l’infelicità di una vita da regina spettatrice di un dramma.
La linea temporale doppia
Come lo sappiamo? Lo sappiamo perché la linea temporale del romanzo è doppia. E qui sta la complessità narrativa e la grande capacità di Carucci di trascendere la narrazione contingente.
I personaggi vivono su un piano temporale unico, la narrazione “romanzesca” è ambientata nell’anno 1580 (dell’era cristiana), ma parallelamente lo scrittore ci conduce per mano nel futuro storico. L’autore mostra al lettore come gli eventi narrati siano arrivati al compimento della storia, per cui se vediamo Salim e Samir combattere nei loro dodici anni per conquistare un posto nel mondo, nel cuore dei loro padri e al fianco di Man Bai, le loro azioni determineranno quello che accadrà decenni dopo, la loro vita e la storia del mondo. Un’idea precisa sottende il romanzo:
Tutti gli eventi, da una certa distanza, appaiono intrecciati senza un ordine preciso. Come in un arazzo ciascuna figura concorre alla visione d’insieme, e conoscere l’esito di una vicenda ne condiziona il dipanarsi nella memoria.
I due piani della storia sono agevolati dalla fluidità stilistica, che vede il passaggio studiato dalla prima alla terza persona narrativa a seconda che ascoltiamo il punto di vista soggettivo e focale di Samir, oppure che allarghiamo lo sguardo sulla corte e sulla storia di Akbar.
Il romanzo presenta in modo chiaro e forte temi universali con la precisa intenzione di stabilire una relazione con il nostro mondo. Carucci è portatore di quello che una volta era chiamata “poetica”, la necessità della “contaminazione” tra culture, tra mondi, tra religioni. Lo sforzo di Akbar di trovare un linguaggio religioso comune è necessario completamento di un impero che sta costruendo ponti tra le civiltà, oltre che l’ambizione dell’imperatore di restare nella storia come colui che ha trovato la sintesi tra le religioni. L’Islam che vediamo descritto nel libro è una religione inclusiva, aperta al dialogo interreligioso, base culturale per un impero multinazionale.
Quanti livelli di lettura…
Il romanzo ci porta a guardare ad un mondo lontano dal nostro con la sensibilità contemporanea, grazie alla centralità dei temi universali di cui si è detto e allo stesso tempo a confrontarci con un passato che entra prepotentemente nella nostra quotidianità. La luce di Akbar non si è spenta nel XVI secolo, continua a riverberare il suo sforzo di trovare una sintesi di fede e nell’incontro di culture diverse, uno sforzo che oggi sarebbe necessario ad una convivenza non solo pacifica ma equa.
I livelli di lettura del libro sono innumerevoli, ma piuttosto che essere tra loro stratificati, questi livelli sono composti in una sorta di schema a cerchi concentrici il cui cuore è la lettura della fede coranica in chiave ecumenica e culturalmente aperta. Penetrando il primo cerchio, la storia di Salim e Samir, il romanzo di formazione, arriviamo nel cerchio del romanzo storico, la corte di Akbar come prototipo di convivenza pacifica, per penetrare in un cerchio di comprensione successiva, l’universalità dei temi; infine, nell’ultimo cerchio, l’apertura di un Islam illuminato come ogni religione dovrebbe essere per portare la pace nell’uomo prima che tra gli uomini.
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