Galati, l’impeto della giovinezza prima della disillusione

Una compagnia di diplomati spensierati e incoscienti pronti a celebrare l’olocausto della loro libertà appena conquistata al ritmo di un viaggio. La destinazione è Recanati, piccola località della Sicilia orientale. E poi, leggendo “La perfezione dell’immaturità” di Francesco Galati, succede quello che ci si aspetta dalla lettura di un romanzo: quel che succede ai personaggi diventa ciò che è successo a te…

Esiste una dimensione intermedia, quasi di grazia, tra il mondo dell’editoria a cui siamo per lo più abituati, quello – cioè – che attraversa tutti gli ingranaggi canonici che portano un pensiero a diventare un libro, e quella dove le due cose, i due concetti, pensiero libro continuano a sussistere come qualcosa di ancora originale, intrinsecamente uniti in un unico atto generativo e completivo.

Quel peccato originale

Si tratta di testi che avranno addosso, sempre, quasi come un marchio: il peccato originale di un’incorruttibilità genetica che, se da un lato non ha conosciuto redenzioni di editing o suffragi promozionali, dall’altro – semplicemente – conserva un autore così com’è, con tutto il suo carico di pulsioni e pulsazioni, fino a che non sia trapiantato nel petto di chi legge, come il cuore di un donatore.

È il caso di un libro che ho letto da poco, giusto poco più di un mese fa, inaugurandolo insieme alle prime giornate di mare che questa estate mi ha concesso: La perfezione dell’immaturità, edito da Kimerik, 362 pagine, 16 euro – cit. dell’autore – il prezzo di tre birre medie, più o meno.

L’autore (con cui poi queste birre le ho bevute davvero) è Francesco Galati ma, in questo testo meta-biografico, il suo sembiante è quello del giovane Alessandro, un ragazzo appena diplomato che, insieme ai suoi amici, sembra anch’egli intonare nella più innocente inconsapevolezza un ritornello che Qualcun altro volle universalmente esprimere e scolpire con queste parole:

rimbombaro i sollazzi e le festose

mie voci al tempo che l’acerbo, indegno

mistero delle cose a noi si mostra

pien di dolcezza; indelibata, intera,

il garzoncel, come inesperto amante,

la sua vita ingannevole vagheggia,

e celeste beltà fingendo ammira.

O speranze, speranze; ameni inganni

della mia prima età! Sempre, parlando,

ritorno a voi; ché, per andar di tempo,

per variar d’affetti e di pensieri,

obbliarvi non so. [E poi continua]

Se la citazione non vi ha lasciati indifferenti (se invece così fosse, non fatevi più vedere!) avrete riconosciuto l’inconfondibile penna del Vate marchigiano che, esperti o meno che si possa essere, appassionati o meno, non può non aver percorso almeno per qualche ora i sentieri emotivi di chi, in una maniera o nell’altra, l’ha conosciuto sui banchi di scuola e l’ha poi riconosciuto nelle pieghe della propria vita. Chi poi ne ha fatto quasi uno spirito psicopompo, per farsi traghettare dalla stagione degli ultimi sudati banchi alle prime spiagge post-esame di maturità, allora non potrà non incontrarne le suggestioni tra le pagine di questo testo.

Un romanzo di formazione senza… formazione

Ma prima di spiegare come ciò avviene, o meglio, come ciò comincia ad avvenire già dalle prime pagine, e con quale destrezza strategica, occorre parteciparvi della prima tra tutte le suggestioni, quella che si incontra nell’aletta di copertina dove, ancor prima di intraprendere la lettura del libro, ci si imbatte in questa presentazione autoepigrafica: Un romanzo di formazione in cui alla fine il protagonista non si forma.

Basta una frase così per farti prendere un libro e fartelo leggere, senza condizioni e ripensamenti. Perché, in effetti, se c’è una cosa noiosa è proprio un romanzo di formazione a tutti i costi, dove per forza uno deve mettere un punto dopo chissà quale travolgente esperienza; quando invece, e credo non sia solo parer mio, se un punto significa essersi formati, essere arrivati alla propria totale completezza, beh… non mi pare proprio un punto che si possa mettere.

Leggendo Galati abbiamo a che fare, dunque, con un romanzo che è di formazione perché così richiede la nostra etichettopatia, la nostra malattia tutta moderna di voler per forza settorializzare immaginazione e memoria, ma che di fatto è proprio un inno all’acquisizione di coscienza di chi scopre che, lungi da una formazione a tutti i costi, esistono stagioni in cui il frutto più utile che si possa addentare è proprio quello che ti aiuta a scoprirti nudo (in tutti i sensi, come si avvedrà il lettore) anziché già interamente vestito. È qualcosa di decisamente più vicino alla vita, ancorché drammatico.

Come il testo.

Libro amorale e moralissimo

Non la storia, non gli episodi che vi si raccontano, ma proprio il testo: certe riflessioni, certi incastri di senso tra ciò che viene narrato e ciò che ciascuno riesce a leggervi. È drammatico, e non potrebbe essere altrimenti, perché parla della giovinezza.

È un testo amorale nella descrizione dell’impeto, ma delicato e moralissimo nell’intenzione con cui quest’impeto viene consegnato ai lettori, cioè senza alcuna immoralità: si fa dono di un racconto di giovinezza senza la preoccupazione di artificiose edulcorazioni ma, mentre si opera questa consegna, l’autore ce la mette tutta (e ci riesce!) per farci capire che in quell’impeto apparentemente senza freni vi è tutta la tenerezza di un freno in nuce, che sarà la stessa vita e – sotto certi aspetti – la disillusione di una postuma maturità, giunta quando magari non te l’aspettavi più.

Le prime pagine del romanzo di Galati, che presentano ai lettori una compagnia di diplomati spensierati e incoscienti pronti a celebrare l’olocausto della loro libertà appena conquistata, si muovono proprio come loro: al ritmo di un viaggio. Uno di quelli che abbiamo fatto un po’ tutti, in macchina, verso una destinazione non troppo lontana in un qualche giorno d’estate. Per il protagonista e i suoi amici, che vivono in terra etnea, questo luogo di mare è una località precisa, davvero esistente, con una spiaggia di ciottoli e l’acqua bella fresca, anche d’estate, e si chiama Recanati (frazione di Giardini Naxos). In un romanzo in cui i nomi delle località geografiche sono taciute o modificate dall’immaginazione dell’autore, il nome di questo luogo invece è reale; anzi, è vero. Perché, fin dalle prime pagine, ci viene data la chiave di lettura di tutto il libro: Recanati. Come a dire: sappiate leggere tra le righe.

Leggere tra le righe (anche le citazioni)

Personaggi come Bob, che imparerete a conoscere perché persistenti saranno la sua presenza e le sue influenze sul gruppo, rappresentano l’espressione testuale del ritmo frenetico con cui l’autore descrive l’incedere della giovinezza prima che un maggior ordine, seppur provvidenziale, ne celebri la fine. È vero, infatti, che gli eroi son tutti giovani e belli, come lo stesso protagonista ci ricorda citando una locomotiva che qui vuol essere immagine di un’età sia capace di divorare la pianura che di passar via velocemente. Ma è anche vero che altre citazioni, non volute ma ugualmente raccolte da chi legge, e dunque miracolosamente inconsapevoli, sono come sapidi interventi del caso sul testo, delle salature ulteriori che si originano dal gusto stesso degli eventi, dalle stesse parole, dalle cristallizzazioni del pensiero di Galati, senza che quest’ultimo abbia voluto aggiungerne più del dovuto.

Un libro, quello di Galati, capace, quindi, di sostenere da sé la propria carica simbolica, come quando – ad un certo punto – cominci ad accorgerti che tutti i fantasmi muliebri presenti nella storia, ovvero le presenze giovanili che accompagnano le esperienze del protagonista (les Passantes, direbbe Georges Brassens), li puoi enumerare da te prendendoli dallo schedario della tua memoria, come fossero esperienze tue, ormai non solo “trascorse”, ma “passate” – appunto – da una memoria all’altra, da quella di Francesco/Alessandro alla tua. È essenzialmente questo che ci si aspetta dalla lettura di un romanzo: quello che succede ai personaggi ad un certo punto diventa ciò che è successo a te; e ciò che magari è successo a te – quando avevi diciotto anni – lo riconosci nella penna di chi, facendosi cantore di quella stessa età che ha ispirato e schiantato intere generazioni di poeti, ha cantato anche la tua, pur senza conoscerti. Perché nessun autore può conoscere ciascuno dei suoi lettori, ma un libro sì: un libro è un’entità profetica a sé stante, e ciò che porta dentro sembra aver presupposto la tua vita, sempre.

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