Il messaggio del Corano distorto dalla violenza e dagli interessi tutt’altro che religiosi, i soprusi su donne e bambini, poi il pentimento e il cambio di rotta. È la parabola di Farhad Bitani, ex militare afghano, che racconta la propria vita ne “L’ultimo lenzuolo bianco”. Messi alle spalle integralismi ed errori, Bitani promuove la pace e il dialogo interreligioso…
Farhad Bitani è un ex capitano dell’esercito afghano, figlio di un generale di Corpo d’Armata, che ad un certo punto della sua vita ha deciso di mollare tutto, mettere un punto alla sua esistenza e ricominciare daccapo. Lo ha fatto (anche) scrivendo L’ultimo lenzuolo bianco (208 pagine, 17 euro), edito inizialmente da Guaraldi nel 2014 e poi, nel 2020 tornato in libreria per Neri Pozza, con qualche miglioria sostanziale dovuta ad un chirurgico lavoro di editing. La prefazione, sin dalla prima edizione, è di Domenico Quirico, stimatissimo reporter di guerra de “La Stampa”. Il romanzo è diventato estremamente attuale dopo i recenti fatti che hanno riportato i talebani a Kabul.
Il coraggio di rischiare
Bitani ha fatto una scelta: non di comodo, utilitaristica, come spesso ci capita di fare, allo scopo di conservare o migliorare la nostra posizione sociale. Lui ha trovato il coraggio di azzerare tutto e andare oltre, a proprio rischio e pericolo. Da un giorno all’altro ha mollato ciò che aveva (la carriera militare, una famiglia potente alle spalle, tanti soldi da sperperare con gli amici) per dare retta al suo cuore, per seguire la strada che quasi inconsapevolmente sua madre gli aveva da sempre indicato, per riconciliarsi con la speranza di un mondo migliore.
Quando viene meno l’idea del bene e del male, l’unica cosa che rimane è la natura e la sua violenza.
Figlio di un mujaheddin
In questa sincera, lucida e cruda confessione a tutto tondo, Bitani racconta la sua storia, una storia piena di dolore e violenza, che poi è la storia recente dell’Afghanistan, dall’ascesa dei mujaheddin alla (presunta) democrazia riconquistata. La sua però è una ricostruzione “dall’interno” perché avendo vissuto determinati ambienti militari, si è trovato nelle condizioni di raccontare tutto il marcio e gli sporchi interessi che si nascondono dietro alle decennali guerre intestine che in nome di Allah hanno distrutto un paese ricco di cultura e bellezze naturalistiche. E lo ha fatto senza concedere sconti a nessuno, neppure a sé stesso o al padre mujaheddin, criticando non solo coloro che hanno finanziato per interessi propri (vedi Usa, Russia, Iran, Pakistan, etc etc) le varie fazioni fondamentaliste che si sono alternate alla guida del paese asiatico, ma soprattutto gli afghani stessi, ovviamente non le vittime e i poveri disgraziati che lottano giornalmente per un tozzo di pane, ma quelli che avrebbero dovuto e potuto cambiare qualcosa, e invece hanno solo coltivato l’odio e l’ignoranza del popolo, distorcendo intenzionalmente il messaggio del Corano, badando solo ad ingrossare i loro portafogli per permettere ai figli di vivere a Dubai o in Europa come nababbi. Una vita da “infedeli”, contrassegnata dall’ipocrisia, che Bitani denuncia prendendosi per altro un bel rischio personale.
Noi, che assistevamo a quei supplizi, che vi prendevamo parte, non potevamo definirci ancora umani.
Denuncia messa per iscritto
L’ex capitano dell’esercito afghano da giovane ha studiato in Italia (ha fatto l’accademia militare) ed è proprio nel nostro paese, da egli a lungo incompreso e criticato aspramente per gli usi e i costumi “dissoluti” – in relazione all’Islam fondamentalista di cui Bitani era imbevuto – che ha capito quanto fosse falso quell’Islam predicato nelle scuole coraniche. Non l’Islam, ma quell’Islam. Qui la presa di consapevolezza che ha dato una svolta netta alla sua vita, e la denuncia messa per iscritto che lo ha obbligato moralmente a chiudere col suo passato.
Troppo spesso dimentichiamo che prima di qualsiasi religione viene l’umanità.
Con una prosa sciolta che vi porterà a finire L’ultimo lenzuolo bianco in poche ore, Bitani ci racconta le violenze e i soprusi subiti da donne e bambini, in particolare, e il suo percorso di vita che procede in parallelo. Un percorso tortuoso, di cui a tratti ora si vergogna e si pente. Un percorso attraverso il quale poco alla volta ha perso l’innocenza, la libertà e l’umanità. Salvo poi recuperare, ritrovando la speranza di un mondo migliore, per sé e per i rifugiati come lui che cercano salvezza lontano dalla propria terra. Bitani si è congedato dall’esercito nel 2012 per dedicarsi alla promozione della pace e del dialogo interreligioso e interculturale. È uno dei soci fondatori del Global Afghan Forum, un’organizzazione di giovani afghani residenti in diversi paesi del mondo.
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