Un sacerdote amante della matematica e della filosofia e una ragazza prossima alla maturità e appassionata di baseball sono le figure chiave di “Centootto volte più grande del sole”, romanzo d’esordio di Nuccio Puglisi tornato in libreria in una nuova edizione. Li fa incontrare una leucemia recidiva della giovane. Solo attraverso il dubbio si può comprendere il senso più grande della vita che, per la giovane, vuol dire anche accogliere la possibilità della morte, che non è la fine, per chi ha fede in Dio…
«Il non senso del dolore e della morte non possono essere spiegati dai sistemi filosofici. Ma possono essere raccontati, perché dolore e morte si lasciano rinchiudere nella trama della narrazione, la quale non intende fornire una consolazione di tipo razionale». Inizia così la prefazione, a firma di Padre Carmelo Raspa, del romanzo di padre Nuccio Puglisi Centootto volte più grande del sole” (680 pagine, 25,99 euro), pubblicato da Carthago in una nuova edizione. Protagon
Affrontare il dolore
Padre Giovanni accompagna Alessandra in questo tortuoso viaggio e lo fa attraverso la religione, la filosofia, la poesia, la matematica, la musica e la letteratura. I dialoghi tra i due sono di un’intensità e profondità sconvolgenti e celano quel bisogno primordiale di comunicare l’universo di sentimenti che abita l’anima. Alessandra ha paura di morire; è arrabbiata con il mondo perché ciò che sta attraversando non dovrebbe capitare a lei ed è ancora più arrabbiata con il padre che l’ha abbandonata quando era ancora troppo piccola per capire; spera di riuscire a superare anche questa volta l’ostacolo più duro che il destino le ha posto davanti. Alessandra ama: la vita, Riccardo, il baseball e, ben presto, anche padre Giovanni. Ha solo bisogno di essere aiutata nell’incanalare tutti questi sentimenti che, come un uragano, la stravolgono, ma soprattutto nell’affrontare il dolore.
Dare un senso, anche vacillando
Il romanzo di Puglisi non pretende di dare risposte a tutti i dubbi dell’esistenza, ma se qualcosa vuole “insegnarci”, è di porsi le domande giuste e non importa se resteranno soltanto tali: ciò che conta è il logos, ovvero il pensiero attraverso il quale cerchiamo di dare un senso alle cose, ci domandiamo per quale motivo veniamo messi al mondo per poi morire. In questo caso, il lettore è spinto a quest’analisi alimentandosi della storia di Alessandra che, sappiamo bene, ha ben poco di “inventato”. Alessandra è il padre o la madre che abbiamo perso; Alessandra è il figlio o la figlia a cui abbiamo detto addio troppo presto senza rassegnarci all’assenza, l’amico che non abbiamo più accanto. Alessandra è la paura che abbiamo provato quando qualcuno dei nostri cari si è ammalato. Perché ognuno di noi ha fatto i conti con il dolore della perdita, con il senso di smarrimento che ci sorprende quando un evento funesto come la morte bussa alla nostra porta. E allora viene voglia di affidarsi alle parole di padre Giovanni, o di Padre Nuccio se vogliamo, che non si nasconde dietro la pretesa di trovare una risposta ad ogni dubbio attraverso la religione, ma al contrario vacilla, dimostra di non aver sempre perfettamente chiari i piani di Dio e anche lui vaga in cerca di risposte che non devono per forza arrivare dalla sua straordinaria fede. Ed ecco, allora, citare Simone Weil: «Ho sempre creduto che l’istante della morte sia la norma e lo scopo della vita. Pensavo che, per quanti vivono come si conviene, quell’attimo che chiamiamo morte sia l’istante in cui, per una frazione infinitesimale di tempo, penetra nell’anima la verità pura, nuda, eterna. Posso dire di non avere mai desiderato per me altro bene». Bisogna prestare attenzione ai tanti appassionanti dialoghi tra padre Giovanni e Alessandra per capire che, nonostante il ruolo di “difensore del Trascendente” e la certezza della bontà di Dio, il sacerdote deve fare i conti con le sue incertezze. Il dubbio è parte integrale dell’esistenza: nella storia universale dell’umanità, come nella breve storia della vita di ogni essere umano, è una parte costante, a volte profonda e sofferente, dell’esperienza di ogni esistenza. Solo attraverso il dubbio si può comprendere il senso più grande della vita che, per Alessandra, vuol dire anche accogliere la possibilità della morte.
Il logos, si diceva. Quello che siamo è il risultato di ciò che pensiamo. Una delle parti più belle del romanzo fa riferimento ad uno dei miei libri preferiti (di cui non svelo il titolo!) che affronta il tema dell’attesa. Chi lo ha letto, probabilmente, non ha colto, come me, quel significato positivo che scorge Alessandra. Ciò che pensiamo, mi sono detta, determina la nostra realtà nella quale si riflette ciò che siamo. Ci nutriamo di pensieri e con essi costruiamo il nostro essere e tessiamo la trama della nostra vita poiché tutto è un riflesso della nostra mente. In questa parte del romanzo, Puglisi dimostra tutta la ricchezza, la complessità e la varietà del pensiero quando s’impara a conoscere sé stessi.
La complementarietà di vita e morte
Il senso del dolore si spiega solo attraverso la vita perché vita e morte sono complementari, fanno parte di una stessa regola che ordina tutto il nostro universo. «Chi può sapere se il vivere non sia il morire e se il morire non sia il vivere?», si chiedeva Euripide. Alessandra, ma anche tutti gli altri protagonisti, sembrano avere trovato il modo per affrontare il viaggio che, dopo aver toccato profondità inimmaginabili, raggiunge la meta più ambita, ovvero la pace scaturente da un’unica verità: forse non esiste il senso del dolore e della morte, ma esiste il coraggio con cui si affrontano ed è ciò che dà il significato all’intera esistenza, anche quando è breve. Esiste la forza di aggrapparsi alla vita fino all’ultimo istante.
Con Alessandra parliamo della vita. Anche quando parliamo della morte.
Centootto volte più grande del sole (qui è possibile leggere il primo capitolo) di Nuccio Puglisi è uno dei viaggi più straordinari che un lettore possa fare e non solo per la trama, per i personaggi ben definiti e per i dialoghi profondamente introspettivi, ma soprattutto per quel “sapere” che racchiude, ovvero un ricchissimo patrimonio di conoscenze e un bagaglio di nozioni che valgono questo viaggio lungo le oltre seicento pagine. Ho impiegato circa un mese per finirlo di leggere e non di certo per la sua mole, ma per il bisogno di riflettere. In qualche modo, anch’io ho accompagnato Alessandra nel suo viaggio più importante, ovvero quello dentro sé stessa.
Un romanzo speciale, quello di Puglisi, capace di commuovere e toccare le corde dell’anima.
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