La discriminazione razziale negli Usa contro gli asiatici al centro del romanzo “Chinatown interiore” di Charles Yu. In tempi di “Black lives matter” si dimostra che il nero è comunque dentro la dialettica sociale americana, mentre l’asiatico ne è del tutto escluso. Dal ghetto però si può uscire, c’è un orizzonte…
Chinatown Interiore (288 pagine, 18 euro) di Charles Yu, edito dalla Nave di Teseo, tradotto da Claudia Durastanti, è un libro sul pregiudizio razziale, sulla discriminazione della popolazione asiatica, in America, sui meccanismi storici di questa discriminazione, ma anche, soprattutto, sulle sue dinamiche soggettive, personali. Lo fa costringendo il lettore ad uscire dalle strade battute del discorso su questi temi, e con una scrittura originalissima, moderna, ironica, che alterna sceneggiatura e racconto vero e proprio.
Tra fiction e realtà
Giovani e vecchi abitanti dei minuscoli monolocali di Chinatown, sognano di partecipare ad una fiction, per guadagnare qualcosa. “Maschio asiatico non meglio identificato”, “Ragazza dagli occhi a mandorla”, “Fenomeno del Kung Fu”, sono i nomi dei loro ruoli, anonime comparse, sullo schermo, come nella società. Una storia di discriminazione lunga e documentata in un passo del libro in cui l’autore ricorda le incredibili leggi discriminanti di molti stati americani nei confronti degli asiatici fino a pochi decenni fa. E distinguere la fiction dalla realtà è difficile, o inutile, e la scrittura di Yu lo dimostra, con la sovrapposizione degli stili narrativi.
Pirandello senza teatro… con la tv
Il protagonista descrive con lucidità le piccole e grandi declinazioni del razzismo nella società americana in cui è nato, cittadino americano che sente di non esserlo mai fino in fondo, e si chiede quando, e a che costo, gli asiatici finalmente potranno esserlo. I personaggi del libro sognano di emanciparsi, di guadagnare un’identità, entrando nella narrazione principale, guadagnando una parte e cercando di scalare la classifica dei ruoli. Ma è questa la strada? Essere personaggio, e ancora una volta non persona. La teoria pirandelliana della maschera è aggiornata, da Yu, sostituendo la metafora del teatro con quella del set televisivo.
Un percorso dietro l’analisi
Non fa sconti, dunque, Yu, il tono ironico non toglie niente alla lucidità della sua analisi, a volte alla spietatezza. La serie nella quale reciterà il protagonista del libro, i suoi amici, suo padre, si intitola Bianco e nera, ed i protagonisti sono, appunto, un poliziotto nero e una bianca. Yu, in tempi di “Black lives matter”, vuole dimostrare che il nero è comunque dentro la dialettica sociale americana, mentre l’asiatico ne è del tutto escluso. Terribile scala di razzismo, nella quale trovi sempre qualcuno al gradino di sotto.
Il libro di Yu, però, compie abilmente un percorso, non si ferma all’analisi della discriminazione. Cerca un orizzonte, lo schiude. Dalla Chinatown interiore, cioè da quel ghetto autoalimentato, introiettato dal discriminato quanto generato dal discriminante, si può uscire. Sarà la figlia, che sa muoversi tra i due mondi, liberamente, ad insegnarlo al protagonista.
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