Nuova edizione di un super classico, “La casa di Mango Street” di Sandra Cisneros. Un ghetto chicano visto – ora con dolore, ora con ironia – con gli occhi di una ragazzina, che sogna di andare altrove. Patriarcato, emarginazione, periferie senza futuro scorrono in piccoli ritratti e quadretti…
Sandra Cisneros? Di lingua inglese e di origine messicana, femminista, partita dal povero e violento ghetto chicano di Chicago, laureata al Writers’ Workshop dell’Università dell’Iowa e con un primo romanzo adottato nei programmi di studio. Quel primo romanzo – tanti piccoli ritratti o quadretti, brevi, brevissimi capitoli affiancati sapientemente – torna ancora in libreria, a circa trent’anni dalla prima apparizione in Italia (per Guanda), con la stessa carica sorprendente di sempre, quella che ne fa senza dubbio un classico. La Nuova Frontiera lo sa e rispolvera l’argenteria del proprio catalogo, rilanciando La casa di Mango Street (121 pagine, 15 euro) di Sandra Cisneros, con la traduzione di Riccardo Duranti. Pubblicato in sordina, a metà anni Ottanta, negli Usa, riedito qualche anno dopo da un grande gruppo editoriale ed esploso definitivamente, per affermarsi come una delle opere più celebri della narrativa statunitense, un longseller.
Poesia e musica con la quotidianità
Non si può mai avere troppo cielo. Ci si può addormentare e svegliare ubriachi di cielo e il cielo ci può far sentire al sicuro quando si è tristi. Qui di tristezza ce n’è troppa e di cielo non abbastanza. Le farfalle sono scarse come pure i fiori e la maggior parte delle cose belle. Eppure, ci accontentiamo di quello che ci tocca e cerchiamo di arrangiarci.
Sandra Cisneros riesce a fare poesia nonostante racconti di donne che subiscono violenze o che scelgono, non troppo convintamente, un matrimonio da giovanissime, per conquistare la libertà e scoprire che è ben poca la libertà che hanno deciso di abbracciare. Sandra Cisneros riesce a far poesia e musica con i rumori della strada e della quotidianità, scrivendo di razzismo, patriarcato, divario di genere, molestie, pubertà, emarginazione, periferie, inquadrando case scalcinate, individui senza futuro e con un pessimo presente, giovanissimi costretti ad abbandonare la scuola.
Realismo magico? No, grazie
Guarda tutto con gli occhi (pieni di dolore e speranza, talvolta di ironia) di Esperanza Cordero, adolescente a cui piace raccontare storie, che per il futuro sogna una casa tutta per sé: «Non la casa di un uomo. Non voglio fare la mantenuta. Ma una casa tutta mia». Una ragazzina che vuol decidere il proprio destino, che non vuol finire come le casalinghe chicane che conosce o come la bisnonna omonima: «Ha passato la vita a guardare fuori dalla finestra, proprio come tante donne che appoggiano la propria tristezza su un gomito». La strada è lunga, fra scuola e giochi d’infanzia, fra morti e dolori. Senza nessuna spruzzata di realismo magico.
Un libro per la comunità
Solo l’istruzione e la cultura possono rendere liberi. Esperanza (e con lei Sandra) è cresciuta in un contesto familiare che gli consente di provare a fuggire dal barrìo. Di andare via come ha fatto l’autrice, ma per tornare, fotografando nelle sue opere quello che ha visto e vissuto, oppressi, diversi, poveri. Scrive storie pensate per loro, che non si vergognino trovandole incomprensibili, piuttosto che le capiscano anche se non hanno confidenza con la lettura. Teoria che si fa pratica, sogni che sono realtà, con una scrittura semplice e rarefatta, che incarna una comunità e i suoi problemi, un angolo di mondo e la sua bellezza, nonostante tutto.
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