«Meglio un addio per sempre che un arrivederci ripetuto». L’addio è quello fra il padre Bertu e il figlio Salvatore, che l’anziano spiega al nipote Antine. Quest’ultimo è il protagonista del primo romanzo di Giovanni Gusai, “Come in cielo, così in mare”. I silenzi e le incomprensioni fra generazioni, il ritorno alle origini, una relazione che cambia la vita: la scoperta di un nuovo scrittore sardo, non ce ne sono mai abbastanza…
Solitudine e cenere – roba alla Deledda, insomma, roba buona – tumultuosi segreti di famiglia e destini millenari che incombono. E poi l’assenza di dialogo e le incomprensioni fra generazioni. Dovessero estrarsi uno a uno i motivi che fanno del primo romanzo del nuorese Giovanni Gusai un libro da tenere d’occhio per il presente e per il futuro, sarebbero questi. Il volume, su cui punta la casa editrice Sem, non affonda troppo sulla prospettiva arcaica e folkloristica della faccenda e dei luoghi, ma punta al cuore dei lettori cucendo assieme silenzi, viaggi, malintesi e rinunce, con un giovane Ulisse che va, viene, torna, per non ripartire più. Torna alla terra degli avi, scommette su di sé, si scopre e si conosce, per rivedere la sua vita sotto una luce nuova e alla luce di una nuova relazione, quella che forse cambia la vita.
Inghiottire verità e consapevolezza
Come in cielo, così in mare (236 pagine, 16 euro) di Giovanni Gusai, è un romanzo sul partire e sul restare, in cui il protagonista, Antine, è in bilico fra passato e presente della propria famiglia. Scopre davvero il passato il giorno della laurea in architettura, quando apprende della morte della nonna paterna e fa i conti, al funerale, con l’assenza del nonno Bertu, che si perpetua da decenni, da una contrapposizione col figlio Salvatore, il padre del ragazzo, che ha deciso di mettersi alle spalle la Sardegna e di vivere a Milano. Antine ha molti più dubbi del padre e finisce per restare a Locòe, il piccolo villaggio sardo delle origini, anche dopo il funerale, trovandosi un lavoretto estivo, e finendo per “indagare” sul proprio passato, sulle inconciliabili ragioni del padre e del nonno, e sul proprio futuro, a partire dalla scoperta dei sentimenti per la giovane Niàda, l’ultima badante della nonna Jubanna. Andrà via, ma non prima di aver inghiottito verità e consapevolezza che lo faranno vacillare fino alla fine, fino a tre mini finali che concludono il romanzo.
La provincia e la metropoli
La provincia e la metropoli si dividono pensieri e desideri del neo laureato Antine, che a Milano affronta colloqui improbabili per trovare un lavoro, e in Sardegna – temporanea occupazione in un birrificio a parte – sembrerebbe non avere nemmeno queste minime prospettive. I consigli migliori gli arriveranno dal nonno ultranovantenne («E non hai compreso quanto mi sia preziosa questa solitudine, il mio mondo quassù in alto, le mie capre e i miei cani e il fuoco e la legna e tutto») che fa vita da eremita vicino a un ovile, che Antine andrà a trovare a differenza del padre e gli spiega il drastico distacco dal figlio Salvatore: «Meglio un addio per sempre che un arrivederci ripetuto […] non ci siamo mai detti del nostro dolore, che era lo stesso ma in due modi opposti. E ce lo siamo tenuto, è diventato troppo grande e non abbiamo più trovato il modo di togliercelo da dentro». I bravi scrittori sardi? Non sono mai abbastanza…
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