Animato da posse(pa)ssione delfica, Roberto Calasso, anima di Adelphi, ha indicato una direzione di senso: la cultura non è massificazione di nozioni ma connessione tra di esse, sinapsi dello spirito stesso della Storia. È lo scrittore che si riconosce chiamato alla missione del dotto, ad una vocazione che lo supera e di cui egli è servitore e seminatore. I suoi due libri pubblicati oggi? Come figli devoti hanno aspettato il loro padre o viceversa, lui amorevole li ha attesi venire al mondo, o oltre il mondo, proprio come lui oggi…
La sensazione è quella di trovarsi sull’Olimpo e assistere alla caduta di un nume. Di un lume.
Non poteva giungerci più drammaticamente la notizia di questa scomparsa, come una doccia fredda, unica, con questo caldo asfissiante, a non recare con sé alcun piacere.
Per chi, come noi, ha tratto diletto per anni nel passeggiare senza sosta tra le discrete sfumature della letteratura d’autore, lontana dalla folla delle tendenze e delle mode, sapere che non ci sarà più una penna come quella di Roberto Calasso a scrivere delle stupefacenti intersezioni tra i saperi, dove ogni cosa può abbracciarne un’altra in un coinvolgente e sempiterno girotondo di scoperte e di rinvenimenti di coscienza collettiva, è qualcosa di veramente difficile da dover accettare.
Lungi dall’appartenere a questa o a quell’altra schiera, noi qui parliamo di un uomo che, per tutta la sua vita, ha fatto della cultura la sua casa, senza ripararsene come in un accessibile tempio ma – al contrario, e combattendo contro le logiche fagocitanti dell’editoria sistemica – allargandone gli spazi fino a che questi potessero contenere non tutti, e a tutti i costi, ma certamente tutti coloro che volessero accedervi. Il tempio di una conoscenza lungamente nutrita, nel corso di ottant’anni che hanno segnato la storia dei libri.
Un posseduto, come la Pizia
Proprietario e direttore editoriale della Adelphi, Calasso ha marciato lungo questa strada così tanto faticosamente costruita, senza mai far sì che la penna dell’editore – che è quella che controfirma i contratti – si sostituisse a quella dello scrittore, che invece crea, performa la realtà, consegna orizzonti interminabili in cui la vita può ritrovarsi, rigenerarsi e moltiplicarsi ancora.
Così, negli anni, il nome Calasso non ci ha mai fatto pensare subito all’uomo dietro la scrivania, ma a quello dietro la macchina da scrivere. Animato da una posse(pa)ssione delfica, ed è proprio il caso di dirlo, egli ha usato il proprio spazio per comunicare autentici gioielli di pensiero nella maniera più legittima e aggraziata, senza mai risparmiarsi o concedersi sconti per il solo fatto d’essere l’editore di sé stesso; lì dove spesso, invece, chi possiede una casa editrice crede di possedere un potere, e chi si convince di possedere un potere ne ignora con colpevole mancanza la responsabilità di servizio. Calasso era invece un posseduto, come la Pizia.
Ha servito la letteratura come ha servito l’editoria: in lui non vi è stata contraddizione né forzatura, in nessuna delle pagine da lui scritte o pubblicate. Quando ci trovavamo in mano un suo libro, sapevamo che esso si sarebbe lasciato sfogliare solo dopo aver percorso tutti i passaggi obbligati che qualunque altro testo della medesima collana avrebbe dovuto percorrere. L’onestà del profeta, che parla per qualcuno e mai per sé stesso. Ma lo fa nello spazio che gli è stato concesso e che egli stesso, con immane passione, ha coltivato senza mai fermarsi, fino a che l’ultima parola non fosse pronunziata.
Il progetto di una vita
Non possiamo non pensare alle sue ultime opere e pubblicazioni, e in modo particolare a quel suo testo, Il Libro di tutti i libri (ne abbiamo scritto qui) che davvero portava in bocca, tra le sue pagine, quasi la compieta di un lascito biblicamente strutturato e pensato negli anni: un progetto editoriale e culturale durato una vita, segnato da dieci filiazioni meravigliose, tutte interconnesse, tutte intersecate all’interno di uno spazio semantico in cui, pur attraversando territori diversi del sapere umano, talvolta così apparentemente distanti, la consegna era quella di una visione globale, di un senso capace di raccogliere e mettere insieme i frammenti, come le parole apparentemente disarticolate di un medesimo oracolo.
Questa, lo crediamo, è la più preziosa consegna che Calasso ha lasciato al mondo: non tanto questa o quella opera, questo o quel libro, quanto piuttosto l’idea precoce, e poi maturata con gli anni, di preparare un organon lungimirante, capace di fregarsene del tempo quanto dei gradimenti di massa, capace di testimoniare che scrittore non è chi obbedisce all’istinto di un momento, magari assecondando un desiderio autoerotico di compiacimento letterario, ma chi – al contrario – distilla le idee e i pensieri come parole d’amore, concedendole al tempo nei momenti giusti, dimostrando che l’arte e la letteratura non producono polluzioni notturne senza futuro e senza prole ma progetti meditati nella fucina di una vita, maltati dal sudore, dall’esperienza e dalla fatica, messi in atto non per sé stessi ma per coloro che in futuro, attraverso quei progetti letterari, vi potranno scorgere una direzione di senso scoprendo che la cultura non è massificazione di nozioni ma connessione tra di esse, sinapsi dello spirito stesso della Storia. È lo scrittore che si riconosce chiamato alla missione del dotto, ad una vocazione che lo supera e di cui egli è servitore e seminatore.
La rovina di Kasch (1983), Le nozze di Cadmo e Armonia (1988), Ka (1996), K. (2002), Il rosa Tiepolo (2006), La folie Baudelaire (2008), L’ardore (2010), Il cacciatore celeste (2016), L’innominabile attuale (2017), Il Libro di tutti i libri (2019). Dieci libri, come un libro solo. Biblia, nel senso più letterale e onnicomprensivo del termine. E tra l’uno e l’altro innumerevoli canti, pubblicazioni minori (così si dice…) come gli echi sono minori della parola che li ha prodotti, diventati altrettante opere che arricchiscono il mondo e le anime. Oggi, tra le altre cose, escono gli ultimi due numeri della Piccola Biblioteca Adelphi (767 e 768), tutti e due firmati Calasso: Bobi e Memè Scianca. L’uscita era programmata, perché una pubblicazione puoi programmarla, l’ultimo respiro no. E allora sembra che, come figli devoti, questi due libri abbiano aspettato il loro padre o che egli, amorevole fino all’ultimo, li abbia aspettati, ché venissero al mondo, o oltre il mondo, proprio come lui oggi.
Magistralmente fuori tema, al cuore
Avevo dodici anni, era il tempo in cui il mio amore per la Mitologia greca superava di gran lunga qualunque altra passione. Compravo tutto ciò che potessi comprare, spendevo tutto ciò che potessi spendere per conoscere sempre più e sempre meglio i miti degli dèi e degli eroi greci. Erano ancora lontani i tempi in cui avrei fatto il parapendio tra Apollodoro e Károly Kerényi. Ma ricordo che un pomeriggio d’estate, mentre ero in Campania, non ricordo dove, dentro una libreria misi gli occhi su questo titolo: Cadmo ed Armonia. Avevo sentito parlare di questi due, ne avevo letto in qualche dizionario di mitologia o al margine di qualche altro mito. Comprai il libro (lo comprò mio padre) e la sera stessa, nella cuccetta della nostra roulotte, cominciai a leggerlo. Accidenti, quant’era difficile! Diceva cose bellissime, raccontava sì la storia di quei due, ma sembrava che avesse un’irrefranabile intenzione di parlare d’altro! Con le categorie scolastiche di quel tempo, mi sembrava un libro di mitologia ma… fuori tema (quanto magistralmente fuori tema sapeva andare Calasso, conducendotene al cuore!). Trattava l’argomento in maniera diversa da tutti gli altri libri che avessi letto fino a quel momento. Già, sembrava proprio che parlasse d’altro, che Cadmo e Armonia fossero l’occasione per dire molto, molto di più: quello scarto che all’epoca non ero in grado di comprendere, di decodificare. Per anni ed anni neanche ricordai chi ne fosse l’autore. Poi, molto tempo dopo, incontrai di nuovo quel nome, su un’altra copertina: Roberto Calasso. L’avevo già sentito, ma dove? Avevo già assaporato quel modo di scrivere, ma quando?
E poi, come meravigliosamente avviene, ecco un ritorno di memoria, una ricapitolazione istantanea in cui – e questo è il miracolo che Calasso ci ha lasciato – non hai solo la sensazione che i libri che hai letto giochino a rimpiattino dentro i tuoi ricordi ma che la vita stessa, attraverso quei libri, si richiami continuamente al cuore di sé stessa, lì dove i libri le hanno dato la voce, come i profeti l’hanno data a Dio.