Non rallegra e non illude lo sguardo sul grottesco de “I magnifici idioti”, il più recente romanzo di Stefano Piedimonte. Una missione top secret nella campagna lombarda, legata alla sicurezza nazionale, è affidata a quattro improbabili figure provenienti da Napoli. Sullo sfondo l’Italietta sgangherata di oggi, la politica vilipesa e improvvisata, lo smisurato talento di dar voce a chi talento non ne ha
Si ride parecchio. Ma la faccenda è più complicata e più interessante. Si ride e, poiché è gloriosa la tradizione – dai classici ai moderni – di scrittori che fanno letteratura spargendo dosi d’umorismo c’è da rallegrarsi che Stefano Piedimonte sia tornato in libreria, ritrovando in qualche modo la voce degli esordi, quando si era imposto all’attenzione di case editrici e lettori con Nel nome dello zio, esordio per Guanda nel 2012. Da allora in avanti Piedimonte (nella foto Delivery Arts) si è anche reinventato, ma il suo sguardo che fa venire a galla ciò che di grottesco ci circonda è una garanzia: la qualità del suo senso dell’umorismo è evidente e predispone al sorriso con una certa frequenza. La conseguenza è uno spassoso rettangolo di carta, il suo nuovo romanzo, edito da Rizzoli, I magnifici idioti (298 pagine, 18 euro). Un romanzo di lunga gestazione che arriva dopo il più introspettivo L’uomo senza profilo (ne abbiamo scritto qui) per Solferino, in cui Piedimonte all’ironia mescolava malinconia, riflettendo a proposito di fake news su Internet e manipolazioni dell’identità sul web, ma rievocando anche echi della propria vita, le figure dei nonni, piccoli e grandi eroismi.
Non talenti o meriti, ma arroganza e ignoranza
Non sappiamo se Piedimonte – date un’occhiata su Twitch alla sua rubrica #libriealtrecazzate – abbia letto Il mondo secondo Garp del geniale John Irving. Se anche non l’avesse fatto in queste righe c’è parecchio del suo modo di intendere la letteratura.
Perché la gente non deve persuadersi che il “comico” può essere anche molto “serio”? […] Garp era convinto che il riso è parente della compassione, di cui c’è tanto bisogno a questo mondo. Lui era stato, dopo tutto, un bambino privo di umorismo – e di religione – e forse per questo, ora, prendeva la commedia più sul serio di tanti altri.
Leggendo I magnifici idioti si ride dell’Italietta sgangherata dei nostri giorni, del Paese scalcagnato in cui siamo immersi, della politica vilipesa e improvvisata, dello smisurato talento della nostra società di dar voce a chi talento non ne ha, e nemmeno meriti, semmai ha arroganza e ignoranza. E allora dietro lo spasso c’è anche rabbia, e denuncia delle storture su cui si reggono molte dinamiche della nostra società. Protagonisti e comprimari potrebbero sembrare bizzarri, menefreghisti, culturalmente deboli, ma rappresentano semplicemente una buona porzione di ciò che ci circonda, la faciloneria e la semplicità che invadono i media, i social network, i palazzi delle istituzioni.
Commedia umana ed equivoci
Il quartetto che si prende la scena in questo romanzo di Piedimonte (un suo video per il canale Youtube di LuciaLibri) arriva da Napoli, sbarca in Lombardia per un incarico top secret (potenzialmente molto pericoloso, ma anche parecchio remunerativo), e garantisce comicità volontaria e involontaria, oltre che equivoci a go go. Lo compongono: Maria Chiara Attanasio, detta Little Princesa, una giovane influencer di medio calibro, ossessionata da quelle che hanno più successo (in particolare Lady Chanel, una bimba «di Cavaria con Premezzo, un paesino in provincia di Varese noto per la sua poca notorietà»); un abilissimo borseggiatore, Nicola ‘a scheggia, che nel suo quartiere è considerato alla stregua di un Gesù reincarnato; padre Felipe, sacerdote sudamericano finito all’ombra del Vesuvio, fissato con improponibili gadget, chiavette usb dalle forme più strane, che parla una lingua ispano-partenopea; un camorrista dai metodi spicci, Sasà Ascione, fratellastro di Germano detto Spic e Span, tra i personaggi dei primi romanzi di Piedimonte (parentela che sembra un collegamento da Commedia Umana). A vario titolo quattro imbranati imbecilli, chiamati a risolvere quello che sembra un problema gravissimo, che mette a rischio la sicurezza nazionale. Nella “galleria” di Piedimonte c’è anche un presidente del Consiglio per caso, ex avvocato, che nel tempo libero tira di boxe (capita che Amedeo Picchio si presenti «saccagnato» ai vertici, con visiera e occhiali scuri, «un alone viola si allarga sullo zigomo»), e un capo dello Stato centenario, di cui si prendono cura i corazzieri, e che prova a scrivere discorsi, influenzato dalla lettura di libri che gli procurano proprio i suoi angeli custodi.
Gli extraterrestri e la missione
Ridicolo, lingua e satira
La cura del dettaglio linguistico, di un lessico mai monocorde e sempre brillante, si sposa con dialoghi spesso surreali, con squarci antropologici di rara vividezza, con una costante osservazione del ridicolo, che viene a galla ripetutamente ed è oggetto di satira. L’imbarazzante slang giovanile del capo del Copasir, il giovanissimo Giampiero Fuschini alla lunga ha un rovescio della medaglia, amaro e dolente, come per altri aspetti del libro che sulle prime strappano sorrisi, ma alla distanza fanno riflettere, perché sembrano grotteschi solo per un secondo. Poi sbattono addosso al lettore, più duri della realtà. Non rallegrano, non consolano, non illudono, non sciorinano risposte, ma accatastano domande, dunque provano a far prendere coscienza di ciò che accade, aiutano a comprendere, o solo a considerare intollerabile quello che non va, quel che di negativo c’è fra le cose come stanno. Se Piedimonte puntava anche a questo, l’obiettivo è stato largamente raggiunto, il suo romanzo ha una forza devastante.
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