L’ossessione di una giovanissima per l’arte e per una più matura performer artistica, alla stregua di un idolo, al centro di “Blu”, secondo romanzo di Giorgia Tribuiani. Colpiscono lo stile, dimostrando in modo vivido cosa si possa fare ancora con la lingua, e il crudele scontro con la realtà, contro le proiezioni romantiche, perché il periodo degli slanci eroici, nel bene e nel male, è solo un’aurea parentesi
Mi sono avvicinata a Guasti di Giorgia Tribuiani (Voland, 2018) quasi per scherzo (forse è un limite mio, ma salvo eccezioni tendo a tenermi lontana dalle storie a tinte orrorifiche, e la descrizione recitava così: «Dopo la morte del compagno, fotografo di fama internazionale, Giada ha un insolito luogo dove andare a trovarlo: la sala in cui adesso è esposto il cadavere plastinato dell’uomo, trasformato in opera d’arte dal celebre anatomopatologo Dottor Tulp, come richiesto nelle sue volontà»). Però Blu (256 pagine, 16 euro), la sua seconda prova, l’ho scelto di proposito: Giorgia Tribuiani (l’abbiamo intervistata in due puntate, qui e qui) è una scrittrice da seguire.
Comportamento scorretto e continuo interrogarsi
Nel primo romanzo di Giorgia Tribuiani colpiva la trama, completamente non convenzionale, la lingua, tanto precisa e accurata quanto sperimentale, l’oggetto della narrazione, un’individualità femminile indagata sin nei suoi meccanismi psicologici più riposti, nelle sue abilità e aspirazioni, nelle svariate modalità in cui un comportamento scorretto – nella fattispecie quello dell’ingombrante compagno – può arrivare a intaccare e condizionare le abitudini e la maniera di percepirsi, financo a modificare una sana spinta alla conquista e al successo per trasformarla in un continuo interrogarsi sulle proprie reali capacità, come in una specie di ossessiva “sindrome dell’impostore”.
Quindi abbiamo una Giada, la protagonista, che nonostante sia una giovane donna colta, avvenente, e anche brava, vive all’ombra di un compagno troppo famoso.
Lui era la star; lei emanava luce riflessa alla sua sinistra, in mano un cocktail, tra le labbra una sigaretta slim.
Un’adolescente
Il rapporto amoroso e “morboso” era già delineato, il tema delle ossessioni pure, anche se è con Blu che si salta nel vuoto.
In questo suo secondo romanzo, pubblicato da Fazi (2021), Tribuiani si spinge ancora oltre. Innanzitutto abbassa l’età anagrafica della sua protagonista, una studentessa di liceo artistico di 17 anni, di nome Ginevra; poi sceglie come fonte della disfunzione non più il rapporto di coppia personale, ma il rapporto di coppia dei genitori, va dunque a ritroso nella situazione familiare pregressa per spiegare alcuni nodi irrisolti; complica il rapporto della protagonista con se stessa, perché nel primo romanzo era una donna “formata”, qui è un’adolescente, l’individuo imperfetto per antonomasia; e come ulteriore elemento di contemporaneità, di novità, di realismo, e anche di originalità, sceglie una super-evoluzione anche del discorso sentimentale: si va dalla coppia uomo-donna di Guasti alla fascinazione donna-donna che esplode in Blu.
L’arte è sempre presente. Si fa elemento di studio, di indagine, nelle sue varie sfaccettature, la pittura, la fotografia, il disegno, la scultura, la performance art di cui è maestra Dora, l’eterea ma in realtà materialissima performer di cui Ginevrablù si innamora perdutamente e ossessivamente.
Personalità scissa e senso di colpa
Nella vita di Blu – Blu è il nome con cui desidera essere chiamata sin da bambina, Ginevra rappresenta la parte “cattiva”, che fa star male le persone – ci sono dei compagni di classe troppo in che talvolta la escludono, una professoressa di arte intelligente che si candiderebbe ad essere la sua mentore se lei non la respingesse con calcolata freddezza, un fidanzato troppo “bravo ragazzo”, così tanto che a Blu manca l’aria, una mamma in carriera bella e dolce ma disprezzata, un padre edipico che si è rifatto una famiglia altrove e che le ha generato una sorellastra viziata e così normale, Lea.
Poi ci sono naturalmente le ossessioni. Il disturbo che la fa contare e ricontare cento volte i lampioni nel tragitto scuola-casa, che le fa contare e ripetere i gesti più comuni, in un meccanismo che una volta innescato deve essere portato a termine inesorabilmente pena la pazzia. C’è questo problema della personalità scissa, del senso di colpa annidato dove meno ce lo si aspetta, e un compulsivo, maniacale attaccamento ai dettagli – nella parte degli scontrini della spesa di Dora vien da pensare a Rain Man con Dustin Hoffman che conta gli stuzzicadenti.
Lingua sonda e seconda persona singolare
La lingua scelta da Giorgia Tribuiani è come una sonda, prende il lettore e lo porta dentro il labirintico e cerebrale mondo interiore di Blu, grazie alla scelta di una seconda persona singolare che accarezza, scusa, blandisce, compatisce e accusa la protagonista, svelandone le viltà e le debolezze, mettendone a nudo le pulsioni più intime, compreso un prorompente erotismo. Si va quindi avanti per scatti, per accumulo, e talvolta per sottrazione, saltando di continuo dalla Ginevra di ora alla Ginevra bambina, con alcune scene portanti che come architravi innervano tutto il romanzo venendo accennate e stoppate, riprese ed ampliate nel corso della storia con una strategia del ritorno, dell’aggiunta, a intermittenza.
La struttura delle frasi, fin nella punteggiatura, nell’uso dei trattini, delle parentesi, del discorso diretto senza stacchi, dell’eterno presente, delle domande ripetute, delle interruzioni e delle ripetizioni, si presta a farsi materia concreta di questo cumulo e groviglio di disturbi dentro il quale la giovanissima protagonista si dibatte, in una personale guerra contro se stessa e contro il mondo.
Il libro è molto interessante, anche se può diventare claustrofobico.
Lo stile, proprio per la sua estrema diversità da tutto quello che siamo abituati a cercare in un testo di narrativa, non è di semplice gestione, ma non è mai neanche respingente, colpisce per la capacità di mostrare in maniera vivida cosa si può ancora fare con la lingua.
La ricerca di un idolo
Dopo tanti romanzi un po’ stancamente incentrati su rapporti sentimentali “ordinari” (la classica storia in cui lui si innamora di lei o viceversa, difficoltà nel mezzo, risoluzione/finale aperto) abbiamo in Blu la vampata, il vero “problema”, l’innamoramento come esperienza totalizzante. La cotta ossessiva e adolescenziale qui si arricchisce del discorso sull’approvazione, sulla ricerca di un maestro, un idolo, un nume tutelare al quale dedicare la propria disperata esistenza di diciassettenne. Con l’esagerata potenza distruttiva che solo un giovane sa mettere nel sentimento, con quella capacità di rendere prioritaria una cosa sola – ecco l’ossessione – Ginevrablù si attacca a Dora, va a cercare le sue mostre, le sue apparizioni nel panorama artistico contemporaneo, le sue foto private su Facebook, la via dove abita, va a vendere i gioiellini d’oro della cresima per raggiungere la quota di iscrizione ad uno degli ambitissimi workshop della performer. Lei deve farsi notare. Essere la preferita. Dimostrare di aver compreso il messaggio che Dora, tramite la propria criptica arte, vuole consegnare al mondo.
È il primo incontro con una passione, solo che qui c’è l’artista al posto del super calciatore, della rock star. Ed è anche un crudelissimo scontro con la realtà dei fatti, molto più materiale e gretta, spicciola, delle altisonanti e pazze proiezioni di romanticismo – applicate all’arte, alle persone – che un ragazzo si può fare, prima di capire che il periodo degli slanci eroici, nel bene e nel male, è solo un’aurea parentesi.
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