Tornano due romanzi brevi di Chaim Grade, campione della letteratura yiddish, riuniti sotto il titolo “Fedeltà e tradimento”. Un volume che ogni lettore dovrebbe procurarsi, le cui due storie sono accomunate da una vivissima contrapposizione, rovello dell’identità ebraica e dello stesso Grade: allineamento ai precetti e partecipazione alla vita del mondo possono convivere?
A distanza di decenni si rincorrono nelle librerie italiane come facevano in vita, sostenuti da fazioni che assomigliavano a curve da stadio. Chaim Grade e Isaac Singer – di cui è recentemente riapparso Ombre sullo Hudson (ne abbiamo scritto qui) – erano campioni di lingue morenti e morte, e di letteratura yiddish, e lo sono ancora. Inna, vedova di Grade che fino a quando è rimasta in vita ha protetto maniacalmente gli inediti e la produzione giovanile del marito, apostrofava il rivale del suo Chaim senza eufemismi («quel buffone blasfemo»), anche quando aveva parecchia terra sopra di sé. Singer, ovunque si trovi, se la riderà, col suo Nobel eterno sotto braccio. Senza stare troppo a discettare su graduatorie che hanno poco senso quando ci sono di mezzo scrittori immensi, è di buon auspicio la contemporanea presenza dei due geniali autori fra le novità nelle librerie italiane: forse c’è ancora speranza. Il percorso intrapreso dalla casa editrice Giuntina, intenzionata a recuperare tutta l’opera di Grade (nato a Vilna e morto a New York) e dalla traduttrice Anna Linda Callow, che traduce direttamente dall’yiddish, è un regalo immenso. Nel 2019 era apparso La moglie del rabbino (ne abbiamo scritto qui) e per il pubblico italiano era stata una scoperta straordinaria. La magia si ripete con un libro che propone due romanzi brevi di Grade, riuniti sotto il titolo Fedeltà e tradimento (208 pagine, 18 euro), un libro che ogni lettore dovrebbe avere.
Fedeltà ai precetti e immersione nel mondo
Esistono b-sides di alcune band che varrebbero una carriera intera di tante altre. E lo stesso potrebbe dirsi per questi due romanzi brevi di Grade, su cui altri autori avrebbero costruito il proprio mito, assurgendo presto all’Olimpo degli scrittori. Testi che hanno in comune alcune domande fondamentali dell’uomo, ma una su tutte: allineamento ai precetti e partecipazione alla vita del mondo, tradizione e modernità, possono convivere? La contrapposizione è vivissima – rovello dell’intera identità ebraica e dello stesso Grade – sia ne Il giuramento che ne La mia contesa con Hersh Rasseyner, pubblicati a ventitré anni di distanza, il primo negli anni Settanta, il secondo nei Cinquanta del secolo scorso. Si tratta di due testi molto diversi per struttura e andamento: d’invenzione e ambientato prima della seconda guerra mondiale, il primo, classico racconto di shtetl lituani o comunque dell’area del vecchio impero zarista; una lunga, ideologica e articolata discussione fra due vecchi compagni di yeshivà, il secondo, con intense tracce autobiografiche, una contrapposizione che va in scena principalmente a Shoah già consumata (che incombe e divide perfino nello scontro verbale), in gran parte a Parigi.
Due figli perduti
Ne Il giuramento gli ultimi giorni di vita di un mercante culminano in alcune sue richieste estreme rivolte ai figli, Gavriel e Asne. Shlomo Zalman Rapoport, che pure aveva indirizzato entrambi a una certa emancipazione dall’ortodossia religiosa («aveva mandato anche l’ultimo nato, avuto in tarda età dalla seconda moglie, nelle scuole polacche e la figlia al ginnasio ebraico, pensando che osservanza religiosa e istruzione secolare potessero convivere»), chiede al figlio di promettere di lasciare gli studi universitari in agraria per approfondire i testi sacri dell’ebraismo e diventare un talmudista, affidandosi a colui che tutti chiamano il rabbino divorziato, Avraham Abba Zelikman, e alla figlia di sposare di sposare uno studente di yeshivà. Le cose andranno diversamente, il mondo secolare avrà la meglio nella vita di entrambi. La vedova Bat Sheva di Shlomo proverà a sollecitare entrambi i figli affinché esaudiscano gli ultimi desideri paterni. La vita, però, porterà altrove tutti e due: la figlia a Parigi, al fianco di un comunista, il figlio sposato a una parente e magari destinato a raccogliere l’azienda agraria del suocero, non quel ricco possidente che poteva sembrare in un primo momento. Sarà Bat Sheva («Mio marito sapeva bene con quanta facilità i nostri figli avrebbero potuto prendere una cattiva strada senza la sua sorveglianza») in qualche modo a compiere un certo disegno, forse un destino auspicato dallo stesso defunto Shlomo.
Una battaglia a due voci
Più atipico e sferzante è il secondo romanzo breve di Grade che completa questo volume, La mia contesa con Hersh Rasseyner, una battaglia a due voci, probabilmente conviventi nel cuore dello scrittore lituano come si legge nella postfazione, incarnate da due antichi compagni di studi, Chaim e Hersh (quest’ultimo sopravvissuto all’esperienza del lager), in gioventù giovani musernikes di Novaredok, e infine separati dalle strade intraprese: Hersh è rimasto rigido e pio nelle proprie convinzioni, Chaim ha abbandonato gli studi rabbinici per diventare scrittore e guardare il mondo da altre prospettive, non totalmente laiche (lo sguardo rivolto all’Haskalà, il cosiddetto Illuminismo ebraico, con la ragione come misura del mondo, e non la Torà), ma di certo non ultraortodosse. Nel corso della disputa retorica nessuno dei due risparmia colpi all’altro. Hersh, a più riprese, mette in guardia l’ex amico:
Avete strillato a ogni angolo di strada: le nazioni del mondo ci odiano perché siamo diversi, e allora diventiamo come loro! E siete diventati come loro. Ancora di più, avete primeggiato nelle loro imprese intellettuali. Ovunque vi sia un uomo di scienza, un filosofo, uno scrittore, è ebreo. E proprio per questo, soprattutto per questo, il loro odio per noi è cresciuto a dismisura. Non vogliono assolutamente che li emuliamo.
Lo studioso, riuscito a sopravvivere allo sterminio nazista, e a radunare attorno a sé altri sopravvissuti per farne suoi discepoli, invoca, se possibile più precetti, norme e divieti contro i piaceri della vita che «sono come l’acqua salata: più ne bevi, più la tua sete cresce». E continua a puntare il dito contro l’altro, accusandolo di individualismo contro il senso di collettività proprio dell’ebraismo, e non solo:
Quando studiavate eravate così esigente, così fiero e orgoglioso, volevate scavare fino al fondamento della verità. […] E adesso vi sta bene strisciare sotto al tavolo della vita nella speranza che vi tocchi in sorte un ossicino di qualche piacere impuro, un boccone rinsecchito, grande quanto un’oliva, di questo basso mondo? […] Se avessi raggiunto un livello spirituale più alto, il cuore mi si squarcerebbe nel petto dalla compassione per voi.
Chaim non accetta la visione manichea dell’ebraismo del rivale, il tutto o niente, le verità assolute o assodate, perché graniticamente rafforzate sul solco dei padri. Nel suo orizzonte di stelle polari che lo rischiarano non ci sono solo testi e pensatori religiosi, ma anche rivoluzionari francesi, poeti, filosofi. Dal suo punto di vista Chaim replica in modo altrettanto veemente:
Non ritengo affatto che il non avere dubbi sia una così grande qualità. E sappiate che proprio come la grandezza dei credenti sta nella loro inscalfibile completezza, l’eroismo dei pensatori laici sta nel fatto che sono in grado di resistere e di convivere con il dubbio. […] Voi avete trovato la tranquillità dello spirito in gioventù, mentre io non ce l’ho neppure adesso, come una volta mi profetizzaste. Ma la vostra tranquillità di spirito è una prova che la verità è con voi? Tutto quel vostro atteggiamento di rinuncia nasconde un’intima insoddisfazione.
Il vibrante confronto tra ortodossi e riformisti, tra la religione dei padri e le sue norme come eredità immutabili, da una parte, e l’apertura laica al mondo dall’altra, andrà avanti fino alla fine, tra accuse e controaccuse, fino alle ultime righe. Chaim ribatte senza sosta:
Di generazione in generazione siete diventati più bigotti e oscurantisti. Avete cuori insensibili e orecchie sorde a tutte le scienze del mondo. Sono solo chiacchiere, dite ridendo. […] Ancora oggi sareste di quelli che estirpano la pianta con tutta la radice per il minimo peccato. Ma poiché non potete, vi viene la memoria corta. Fate finta di non ricordare le vostre persecuzioni nei confronti di quanti osavano dire qualcosa di diverso da voi senza un sostegno nei testi della tradizione, e perfino quando un sostegno del genere ce l’avevano.
Dubitare e approfondire
Libro immenso e rovente, di grande intensità e profondità, Fedeltà e tradimento di Chaim Grade resta nei pensieri a lungo. Sviscera i legami familiari e quelli con le proprie origini, studia la libertà e la trasgressione, l’osservanza e la secolarizzazione, la verità e la fede, stimola riflessioni, induce a dubitare e ad approfondire. Dunque ottempera a qualcuno dei mille compiti della letteratura.
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