La scuola serale di Lupo, affabulare e rinnovare la memoria

“Il pioppo del Sempione” di Giuseppe Lupo è una storia venata di autobiografia ed elegia. Un giovane docente d’italiano insegna a migranti provenienti da Iraq, Costa d’Avorio, Albania. Le sue lezioni sono interrotte, ma sarebbe meglio dire arricchite, dai ricordi di nonno Paplush, memoria storica dell’angolo freddo e nebbioso di Lombardia in cui è ambientata la vicenda. Una spirale di digressioni, da cui emergono umanità e speranza…

Una collana, “Il bosco degli scrittori”, dalle radici forti, curata da Antonio Riccardi – che è prima di tutto un poeta, ancor prima d’essere un curatore e direttore editoriale – uno scrittore metà lucano e metà lombardo, che in passato si faceva ispirare più dalla terra in cui è nato e cresciuto e che, ultimamente, tesse le proprie trame nella regione che l’ha accolto, quella dove si è affermato professionalmente e personalmente. Una storia venata di autobiografia e di elegia, come quelle che l’hanno preceduta. Un libro da non sottovalutare, dedicato a chi crede che certe iniziative editoriali possano essere strade secondarie per gli scrittori; quelli veri, però, non conoscono scorciatoie e si dedicano a ogni singola pagina come se fosse la più importante della carriera. Scrittore vero è Giuseppe Lupo, libro importante è il suo Il pioppo del Sempione (182 pagine, 14 euro), pubblicato da Aboca.

I Promessi Sposi… interrotti

Con garbo e toni a tratti fiabeschi, Lupo dispiega una storia ambientata nel 2003, principalmente in un «immenso edificio dove veniamo a rintanarci tutte le sere come animali braccati dalla solitudine». La voce narrante è quella di un giovane docente di italiano che, a cavallo del secolo scorso e di quello in corso, insegna in una scuola serale alla periferia nord di Milano, i suoi alunni sono migranti provenienti dall’Albania, dalla Costa d’Avorio, dall’Iraq: «isole alla periferia di un Occidente che ha promesso loro ricchezza, ma per il momento assicura solo uno stipendio da operaio in qualche fonderia o impresa edile». Le storie che il professore intreccia, a cominciare da quella de I promessi sposi, fanno il paio con quelle di un altro narratore orale, che ha il sopravvento: ad ogni lezione nonno Paplush, memoria storica del luogo, diventa una presenza fissa, narra di inverni passati, di eroi del ciclismo, di quando lui stesso era un immigrato, di un mondo del lavoro che quasi non c’è più, tra fabbrica e scioperi, e di sentimenti perduti. «Se non ci fosse nonno Paplush, avrei difficoltà a tenere in piedi il tempo di una conversazione con gente così diversa per origini e per lingua». L’anziano irrompe con i suoi ricordi, con la nostalgia che racconta, col suo tragico amore per la titolare di una locanda, Rossana (a cui scriverà anche lettere dopo la morte), che scalza per interesse fra gli alunni quella di Renzo e Lucia, interrotta più volte. Forse perché, come sostiene, uno di loro, Amin: «Vita essere meglio di letteratura, professore. In una Lombardia fredda, di zanzare e nebbia, Paplush si chiamano anche il pioppo che dà il titolo al volume (immaginario grande albero di Corte del Villoresi, lungo la statale del Sempione) e i suoi fiori, che hanno un ruolo essenziale fra queste pagine.

Storie semplici, respiro ampio

Nonostante tutto quel che i protagonisti attraversano – non solo nonno Paplush racconta, ma anche gli immigrati, tra radici abbandonate e radici da mettere, vecchia e nuova vita – nonostante le perdite che vivono e con cui convivono, c’è un messaggio di speranza lieve che pervade questo libro di Giuseppe Lupo, che irrobustisce ancora una volta la sua vocazione pura ad affabulare. Un autore abituato a valorizzare in storie, apparentemente semplici e comuni, un respiro ampio e mitico, a rendere omogenea e corale una spirale di piccole digressioni, a concentrarsi sull’umanità dei suoi personaggi, che hanno contorni ed essenza di persone in carne e ossa. Storie come quelle di Giuseppe Lupo prolungano il tempo, rinnovano la memoria. Anche se la classe del professore finisce per svuotarsi, anche se nonno Paplush non fa in tempo ad ammirare l’ultima fioritura…

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