La fisica pioniera e impavida, Simona Lo Iacono piena di grazia

La siracusana Simona Lo Iacono torna al romanzo storico che non disdegna la licenza d’inventare. Ne “La tigre di Noto” romanza la vita di Marianna Ciccone, fuggita da Noto e da un destino segnato di madre e moglie, e affermatasi come scienziata alla Normale di Pisa. Donna empatica e altruista, devota allo studio, alla lettura e ai suoi allievi, meritò il soprannome di Tigre, per aver tenuto testa ai nazisti che volevano razziare la biblioteca dell’ateneo…

In genere Simona Lo Iacono, siracusana che ha trovato nella casa editrice Neri Pozza l’approdo sicuro per pubblicare storie, va a ritroso nel passato, si impossessa delle vite degli altri e le fa sue, con una lingua piena di grazia, un lessico ricercato ma non pretenzioso, un’attenzione alle linee psicologiche più sottili. Individua esistenze di personaggi marginali, notevoli o affondati dalla dimenticanza collettiva, e le rigenera attraverso la letteratura.

Rispetto della storia e licenza d’inventare

A figure storicamente esistite Simona Lo Iacono (qui alcuni suoi consigli di lettura sul nostro Canale YouTube) abbina piccoli e grandi dettagli d’epoca e una certa licenza d’inventare. Era successo ne Il morso (2017), con la coraggiosa Lucia Salvo, epilettica, fanciulla di famiglie aristocratiche palermitane, ma coraggiosa e determinata miccia di un’insurrezione popolare, quella del 1848. Si era ripetuta con Tomasi di Lampedusa, protagonista de L’albatro (2019), colto in due periodi distanti della propria esistenza, l’infanzia e la morte; tenendo conto e rispettando le principali tappe biografiche e il background storico, Simona Lo Iacono fantastica su dialoghi e riflessioni di Tomasi, affiancandogli l’immaginario Antonno: compagno di gioco del futuro scrittore e poi per sempre servitore e amico fedele, come un albatro lo è per un capitano di vascello, portatore di una visione del mondo convenzionale, e che in qualche modo influenzerà le pagine de Il Gattopardo.

Pro Einstein, contro i nazisti

Nel suo nuovo romanzo, La tigre di Noto (171 pagine, 17 euro), pubblicato da Neri Pozza come i due precedenti, Simona Lo Iacono ritrae una donna indipendente e forte, eccentrica e con un problema fisico (“sorella” di Lucia Salvo), capace di dedicare l’intera vita allo studio, alla ricerca scientifica, ai propri alunni, senza abbandonarsi, peraltro con una ricca dote, al destino segnato di sposarsi e far figli; tronca i rapporti con la famiglia e, sostenuta solo dalla propria forza di volontà, prosegue gli studi lontano da Noto e dalla Sicilia, a partire dagli anni della prima guerra mondiale. Marianna Ciccone è un nome che poco o nulla dice alle grandi platee, ma è stata una delle prime donne, in Italia, ad affermarsi in spazi allora esclusivamente maschili: studentessa prima alla Sapienza, poi alla Normale, laureata prima in matematica, poi in fisica, e infine docente. Sostenitrice delle teorie di Einstein, inizialmente avversate dai più all’interno della comunità scientifica, e capace, nel corso della seconda guerra mondiale, di tenere testa ai nazisti che volevano razziare e distruggere gli edifici universitari di Pisa (da qui il soprannome di Tigre), di rispondere veementemente agli ufficiali tedeschi, a rischio della propria vita, per salvare soprattutto i testi ebraici della biblioteca d’ateneo. Un’esistenza diversa, non convenzionale, forse anche “figlia” di un difetto dello sguardo, di un occhio «pesto che guardava in alto invece che in basso», che aveva «l’abitudine di legarsi alla stravaganza delle cose», «frenando ogni mia vera partecipazione al mondo».

La mia pupilla virava, seguiva i pensieri, fiutava gli enigmi matematici e decideva di sottrarsi al corpo. Non era mai stata un’alleata della mia età, mi aveva fatto sbocciare su un altro pianeta, disadorno, inattuale.

Una donna indomita e i suoi flashback

Leggere, studiare, apprendere (non solo approfondendo testi scientifici, ma anche letterari) sono le certezze che accompagnano l’eroina controcorrente di Simona Lo Iacono fin dalla più tenera età: si intrufola nella biblioteca paterna di notte, a caccia di titoli che le cambiano la vita.

Dai libri ho imparato che i fotoni scompongono le luminescenze ma anche le parole. Le une e le altre non sono che stralci di qualcosa di più grande, un immenso amante turbato e tradito che se ne sta immobile a ricevere i nostri colpi bassi, la nostra incauta profanazione.
No, non si lamenta.
Ce lo perdona ogni minuto, questo nostro scempio ammantato di grazia.

Nei brevi capitoli che tesse, Simona Lo Iacono fa sfogliare delle vecchie foto alla protagonista che si guarda indietro in un epiprologo datato 1965, piazzato nelle prime pagine, e ricostruisce con vari flashback, in prima persona, la propria vita, che – sacrificando spesso e volentieri sentimenti e rapporti umani – la porterà anche in Germania, a studiare alla corte del futuro Nobel Gerhard Herzberg (e l’autrice immagina amicizia e affetto fra i due) che fuggirà dal Terzo Reich, e in Francia, a tornare a Pisa, dove dirigerà l’Istituto di Fisica, a imporsi con le sue ricerche sull’infrarosso e sulla spettroscopia nucleare. Un’esistenza in certe direzioni, fortemente voluta da una donna indomita, nelle difficoltà, nella discriminazione, nell’indigenza, nonostante i guai della seconda guerra mondiale.

E la verità è che la vita andava cercata dove sembrava mancare, dove taceva, sepolta.

Una specie di maternità

Tra i segmenti di vissuto di Marianna Ciccone, Simona Lo Iacono inserisce anche squarci di fantasia, e in particolare una specie di maternità, quella che la lega a una bimba ebrea (che battezzerà Rosa, come la sua amata governante durante l’infanzia), a cui, si intuisce strada facendo, si rivolge la protagonista nel corso del suo racconto. Questo incontro è la dimostrazione che «la bellezza non aveva smesso di nascondersi tra le rovine» e che tutto, sempre, può cambiare, anche un occhio inceppato.

Il mio corpo esisteva perché tu gliene avevi dato il diritto.
Anche l’occhio buono mi scrutava con una certa dose di incredulità, l’occhio storto, invece, non esisteva più.
Si era raddrizzato, allineato.
Non correva più verso il cielo, si posava su di te.

La tigre di Noto, su tutto, finisce per essere una storia di emancipazione, empatia e altruismo, il ritratto di una donna di grandissima intelligenza, anche emotiva, dallo sguardo coraggioso, in ogni senso.

 

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