Un romanzo riscoperto di Dumas padre ambientato in una Palermo ottocentesca che assomiglia tanto alla città odierna, tra storia e superstizioni, duelli e disgrazie. È “Il conte di Mazara”, pubblicato a puntate quasi un secolo e mezzo fa, che risveglia il piacere primigenio della lettura. L’amicizia di due nobili, uno francese e uno palermitano, farà i conti con le maldicenze che accusano quest’ultimo d’essere uno iettatore
Un romanzo d’appendice in piena regola, apparso a puntate quasi un secolo e mezzo fa, e dimenticato dalla storia, caduto nell’oblio, salvo essere stato ripescato in Francia un paio d’anni fa. E, adesso, rilanciato in Italia, dalle vivacissime edizioni del Palindromo. Un’iniziativa che restituisce un’altra piccola scheggia, sconosciuta ai più, di uno dei romanzieri più prolifici e famosi della storia, e con essa il piacere primigenio della lettura. Un breve prologo che porta ad Alexandre Dumas padre e al suo Il conte di Mazara. Una storia siciliana (239 pagine, 13 euro), tradotto da Viviana Carpifave, con un’introduzione di Salvatore Ferlita.
Viaggio, storia e azione
Il racconto di viaggio, storico e d’azione, appassionante come nella tradizione dell’autore, si apre con un paio di riferimenti autobiografici: uno dei soggiorni siciliani, anzi palermitani di Dumas (il legame di Dumas con la Sicilia, come spiega anche Ferlita nel suo brano introduttivo, è tutt’altro che superficiale), come corrispondente di guerra al seguito di Garibaldi, da Dumas paragonato a Napoleone e Washington, soggiorno in cui apprende che un suo concittadino e conoscente ha ereditato una fortuna e uno storico palazzo; il ritorno a Parigi, in cui proprio questo concittadino, il visconte Alphonse de Quinzac lo invita a pranzo. In mezzo una lettera, vergata dal politico italiano Petruccelli della Gattina, che gli chiede di firmare a quattro mani, e di migliorare laddove lo ritenga necessario, un manoscritto, Il conte di Mazara, praticamente il libro che terranno in mano i lettori che sceglieranno questo seducente volume pubblicato dal Palindromo.
Va’ dove ti portano le passioni
Come nella sua migliore tradizione, Dumas ci conduce laddove lo portano le passioni (avventura e rischio, scrittura e ricette; del resto sosteneva: «ho due passioni, cucinare e scrivere; una mi porterà alla rovina, l’altra mi farà ricco»), dalla guerriglia dei garibaldini contro i napoletani tra piazza Pretoria e il palazzo dei Normanni, alla cucina di una domestica parigina, da strade che profumano di storia a sbrigative coltellate o duelli a colpi di pallottole per dirimere questioni, da splendidi palazzi a maldicenze dure a morire. Come quella, scoprirà Alphonse de Quinzac che lo racconta a Dumas in persona, che marchia il conte di Mazara.
Sapevo che il conte in gioventù era stato un uomo di mondo e che a causa di un bizzarro destino si era rivelato fatale per tutte le sue amanti. Sapevo che era stato sposato e che la moglie, non potendo sfuggire neanche lei alla sventura, era morta dando alla luce una figlia che ora, nonostante godesse di due milioni di rendita e di una bellezza straordinaria, era ancora nubile.
Tra ignoranza e amicizia
Agli occhi dei suoi concittadini il conte di Mazara è né più né meno uno iettatore, il capro espiatorio di tutto ciò che di negativo succede, ignoranza e superstizione, quando c’è di mezzo lui, prevalgono sempre sul buon senso. Il visconte francese lo capirà gradualmente, alle prese con il terrore, gli scongiuri e le bestemmie con cui gli rispondono tutti quelli a cui parla del conte di Mazara, gentiluomo colto e ricco, che si è offerto di ospitarlo al primo piano del suo palazzo. Gli fa girare la città in carrozza, lo invita a teatro, lo fa partecipe della propria vita, gli fa conoscere la figlia Flora (di cui saprà le ripetute peripezie sentimentali, di cui in qualche modo si innamorerà), costretta dalla vita a fare una scelta tutt’altro che gradita e che, in definitiva, la condannerà. Il visconte ricambia con sinceri sentimenti di rispetto e amicizia il nobile palermitano, e lo difende fino a quando sarà possibile.
La Palermo che fu. La Palermo che è?
Una Palermo lontana nel tempo, ma con tanti elementi attualissimi, è più di una semplice cornice. Dumas ci conduce per le vie con la sua arte che oscilla fra vero e verosimile, con la scioltezza della letteratura d’intrattenimento che gli è propria. La città è una «grande culla di rumori», a cominciare dalle ruote delle carrozze che affollano il parco della Favorita. Non sembra la patria della parità di genere, brulica di aristocratici e mendicanti, ed è un gran frullato di… rifiuti.
All’epoca le strade di Palermo erano incredibilmente sporche. […] Il municipio non aveva il tempo di occuparsi della nettezza urbana e dell’igiene…
In appendice al volume c’è una mappa (virtuosa consuetudine in tanti libri del Palindromo, a cominciare dalla collana di maggiore successo, “Le città di carta”) con i luoghi notevoli della vicenda, un invito non velato alla scoperta di Palermo per i lettori più curiosi e audaci, quelli magari pronti a rimettersi in cammino dopo la pandemia e le restrizioni, quelli curiosi di un solco, scoprire con i proprio occhi ciò che vagheggiano dopo aver letto un bel libro. Guardare il capoluogo siciliano in un certo modo, visitarlo con gli occhi di Dumas e dei suoi personaggi, tra gloria e decadenza, non significa volgere lo sguardo al passato ma interrogarsi anche su certo presente.
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