Il racconto di tante libertà ammutolite, un monito contro i pericolosi ritorni di rigurgiti nazisti. È “I demoni di Berlino”, sequel de “L’angelo di Monaco” di Fabiano Massimi, tra impeccabile ricostruzione storica e d’ambiente e un vortice d’intrighi. Sigfrid Sauer, ormai ex commissario riparato in Austria, rientra in Germania sulle tracce della donna amata, unitasi alla Resistenza. L’obiettivo è salvarla, ma in ballo c’è molto di più…
Amici ritrovati. Il modenese Fabiano Massimi, scrittore, bibliotecario e consulente editoriale, e Sigfrid Sauer, ex commissario con una nuova identità, non lontano da una Germania sempre più in balia del morbo nazista, negli anni Trenta del secolo scorso. Li avevamo lasciati con L’angelo di Monaco, fortunatissimo debutto, molto venduto anche all’estero, li ritroviamo con I demoni di Berlino (448 pagine, 18 euro), sempre edito da Longanesi, sequel in piena regola che mantiene ciò che promette: storia (a cominciare dall’incendio del Reichstag, nel febbraio 1933, prologo del libro che è in qualche modo l’epilogo) e fiction, descrizioni minuziose e suspense, condanna senza sosta del male assoluto del ventesimo secolo. Un detective nel tempo più buio della nazione tedesca non è una novità, si pensi al Bernie Gunther della trilogia di Philip Kerr (ne abbiamo scritto qui), ma Fabiano Massimi (qui alcuni suoi consigli di lettura sul nostro canale Youtube) è abile a non smarrire il filo degli eventi reali e a innestare su di essi scorci di fantasia che avvolgono chi legge; lanciando al contempo moniti per il presente, per ciò che avviene, in modo sotterraneo e non, per pericolosi ritorni di stampo nazista che attecchiscono sotto mentite, ma neanche troppo, spoglie. Il rogo del parlamento tedesco, ricorda Massimi, in quello che non è un semplice thriller storico, fu l’inizio della fine: Hitler e i nazisti presero il sopravvento, le liste di ebrei e comunisti si tradussero in arresti di massa e la libertà, in moltissime sue declinazioni, fu azzerata, ammutolite tutte le opposizioni.
Altra identità a Vienna, il ritorno in Germania
In fuga da Heydric, capo della servizio di sicurezza delle SS. Così i lettori avevano salutato il commissario della polizia di Monaco Sigfrid Sauer. Lo ritrovano adesso a Vienna come Peter Rach, impegnato a fare tutt’altro, ma pronto a rientrare precipitosamente in Germania, alla vigilia delle elezioni, dopo aver saputo che Rosa Weiss, la sua amata (si erano lasciati alcune settimane prima), si è unita alla Resistenza ed è rientrata nella capitale tedesca, per fermare l’ascesa di Hitler. A Berlino un guardingo Sauer cammina sul filo, mentre cerca tracce di Rosa, non sa davvero di chi fidarsi oppure no, ed entra lentamente in un vortice di intrighi e possibili passi falsi, a contatto, con demoni di ogni sorta, meccanismi della propaganda e della violenza, anche solo sfiorati dal protagonista. La ricostruzione storica e d’ambiente (dalle bettole ai luoghi di potere) è impeccabile, e in questo scenario il lungimirante Sauer (uomo pieno di conflitti e travagli interiori) è uno dei pochi a comprendere la gravità del fenomeno nazista, che i più considerano passeggero e addirittura non pericoloso.
Un patto difficile da scalfire
Naturalmente la ricerca di Rosa va al di là del singolo ritrovamento della donna. In ballo c’è molto di più. L’uomo che nel primo episodio della serie di Fabiano Massimi (che è stato anche allievo della scuola Holden) aveva indagato sulla misteriosa morte di Geli Raubal, nipote prediletta di Adolf Hitler, viene tirato in ballo e costretto a uscire dalla clandestinità ancora da una donna, che ha lasciato un messaggio in codice per lui, forse s’è cacciata nei guai anche per causa sua. L’ex commissario teme il peggio quando vengono ripescati nei canali cadaveri di ragazze, picchiate, torturate e uccise, ma la vicenda è molto più complessa di quello che sembra, si nutre di pagine concitate, dei misfatti dei gerarchi Goring, Himmler, Heydrich, di dialoghi ben congegnati e serrati, e colpi di scena, fino a un finale per nulla consolatorio. Il segreto di questo come del precedente romanzo di Massimi è partire dalla realtà storica e dai documenti e cucirli assieme attraverso vuoti reinventati, senza però venir meno alla coerenza storica, dando pressoché pari dignità a tutti i personaggi. Una “patente” di credibilità che dribbla luoghi comuni e già visto, e stabilisce un patto con il lettore difficile da scalfire.
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