Attualità di Pavese e sollecitazioni novecentesche in nuova collana della casa editrice Scalpendi, per restituire sguardi e stimoli sulla modernità ancora capaci di risuonare. I primi due titoli sono “Prima che il gallo canti” di Cesare Pavese (con due racconti apparentemente distanti nel tempo e nei temi) e la sua traduzione di un classico statunitense, “Riso nero” di Sherwood Anderson
L’anno “pavesiano” per antonomasia – con lo scadere dei diritti e dunque un florilegio di pubblicazioni e ristampe –, e l’anno dantesco: su questi due binari si muove la nuova collana di Scalpendi editore dall’emblematico titolo Per l’alto mare aperto, diretta da Edoardo Esposito. Classici e moderni, prosa e poesia, italiani e stranieri con particolare attenzione al Novecento: questo si trova in catalogo, nell’intento di restituire sguardi e stimoli sulla modernità ancora capaci di risuonare, magari sotto accorte sollecitazioni e accostamenti.
Sguardi che scrutano
La lettura della nuova collana Scalpendi inizia da fuori, dall’elegantissima veste dei libri, curata nei dettagli. Ancora prima di addentrarsi tra le lettere e l’inchiostro dei testi, si resta colpiti dal piacere della carta ruvida delle copertine nelle nuance del seppia. Cattura, poi, l’espediente di fare della stessa copertina un ritratto dell’autore, collocando una foto del viso tra il dorso, la copertina e la quarta, così che il volto di Pavese, o quello di Anderson e degli altri sembri scrutare il (nel) lettore non solo attraverso le parole che si leggeranno, ma con uno sguardo che si proietta dal semplice oggetto libro appoggiato su un tavolo e che chiama all’appello.
Guardami, e leggimi: così sembrano dire quei volti. La curiosità di interrogarli immerge dunque il lettore nei testi, classici e non, ma pur sempre di vocazione universale, come si prefigge la casa editrice con l’operazione di questa collana. E sono due scelte non casuali i primi due numeri di Per l’alto mare aperto: Riso Nero, di Sherwood Anderson (tradotto da Cesare Pavese), e Prima che il gallo canti, dello stesso Pavese.
Prima che il gallo canti
Il libro dedicato a Pavese raccoglie due testi fortemente simbolici dell’autore: Il carcere e La casa in collina, accostati in questa pubblicazione che vide la luce per la prima volta nel 1948, anche se Il carcere risaliva al 1939. Riuniti per la prima pubblicazione di La casa in collina, i due romanzi sono tuttavia due opere mature legate da un titolo emblematico, un invito all’azione di fronte a personaggi bloccati da fantasmi esistenziali e dall’incapacità di gettarsi nella vita.
Come sempre, in Pavese, queste storie ripercorrono sul filo della letteratura vicende personali, permettendo all’autore di dare spazio profondo alla sua interpretazione del mondo e del mestiere di scrittore. Tasselli del percorso pavesiano, Il carcere e La casa in collina raccontano della guerra: il primo romanzo segue le vicende di Stefano, mandato al confino a sud, in un paesino, proprio come accadde allo stesso Pavese a Brancaleone Calabro. Corrado è invece il protagonista di La casa in collina, sullo sfondo di una Torino bombardata, dell’8 settembre e della lotta partigiana: un personaggio che sceglierà la fuga verso le natie Langhe, richiamando ancora una volta l’autobiografia dell’autore, ma soprattutto la sua scelta di defilarsi dall’impegno in prima linea.
Il tormento di Pavese e della sua narrativa prende la scena, ed è inaspettatamente attuale rivivere pagine del dopoguerra, alle soglie della tragica fine dell’autore, ritrovando un’edizione originale così come era stata concepita, accostando cioè l’emblematico titolo Prima che il gallo canti a due racconti apparentemente distanti nel tempo e nei temi, eppure contraddistinti da una marca pavesiana che, come tutti i classici, si fa evidente con la distanza, e più che mai viva e vibrante. Non saremo mai sazi di Pavese se potremo leggerlo e rileggerlo, di volta in volta riscoprendolo sotto luci che solo apparentemente si differenziano. Il suo sguardo continua, dai testi e dalla copertina di questo volume, a sollecitare riflessioni sull’uomo, e sulla scrittura.
Autore e traduttore
Pavese non resta mai sulla superficie dell’alto mare aperto, ed è anche con questi due romanzi che dà una direzione al proprio pensiero di intellettuale e di uomo, cercando di ridisegnare e dare un senso alla propria bruciante solitudine interiore tra le fila della storia che scorre sotto gli occhi. Ma è qui che nasce un classico, perché da qui inizia il viaggio oltre le colonne d’Ercole: Pavese non fa che scrivere e riscrivere della propria ricerca personale, di volta in volta declinata nello sguardo di personaggi, come Stefano e Corrado, che rappresentano al meglio la voce del Novecento, i suoi interrogativi e le sue pagine di estrema attualità.
Ma Pavese è ormai anche un personaggio del Novecento letterario italiano: ecco un’altra prospettiva da cui considerarlo, impegnato tra le carte di Einaudi e i suoi americani da tradurre. Un po’ per caso, un po’ no, all’uscita del testo di Pavese del 1948 viene abbinata da Scalpendi l’uscita di Riso nero, di Sherwood Anderson, che lo stesso Pavese tradusse nel 1932. La storia di Bruce e la voce italiana di Anderson ricercata da Pavese, che della letteratura americana sarà uno degli scopritori italiani, si incontrano in un testo il cui linguaggio fu a lungo considerato razzista, best seller per l’autore ma da tempo fuori catalogo. Ecco che l’operazione di Scalpendi attiva un meccanismo di riscoperta che, attraverso una vicenda ambientata tra il Mississipi e l’Indiana, rivela tracce dell’operazione linguistica di Pavese e delle vicende editoriali che lo videro coinvolto nella fucina dell’Einaudi torinese. Dai libri non si smette mai di farsi stupire, e sarà probabilmente così anche per le prossime uscite della collana Per l’alto mare aperto, tra cui non mancheranno doppiette autore-traduttore come Elio Vittorini con Nozze di sangue di García Lorca e con il suo Diario in pubblico e le Lettere inedite che, dal 1956 al 1965, hanno accompagnano l’ultimo periodo della sua attività.
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