Le brutali bravate della gioventù elvetica di qualche decennio fa in un testo difficile da circoscrivere a una qualunque categoria, “Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera italiana degli anni Ottanta” di Manuela Mazzi. L’introduzione è firmata da Giulio Mozzi
Diciamo che la lettura del Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera italiana degli anni Ottanta (272 pagine, 18 euro) – pittoresco titolo che, come giustamente rileva Giulio Mozzi nell’introduzione, ha un retrogusto settecentesco – pone una riflessione identitaria. Cos’è di preciso quest’opera di Manuela Mazzi, edito da Laurana Editore? Un manuale sociologico su uno spaccato di devianza giovanile elvetica? Un reportage di taglio giornalistico, arricchito da stralci di articoli e testimonianze dei protagonisti dell’epoca? Un romanzo-non-romanzo che descrive minuziosamente risse, luoghi e picchiatori i quali, con gradazioni diverse, hanno imperversato nelle valli svizzere, prestando il fianco ad analisi di carattere etnico, culturale e psicologico? Difficile stabilirlo.
Oltre i classici costrutti narrativi
Di certo, la singolarità di questo libro di Manuela Mazzi consiste proprio nella sua inclassificabilità, nella sua sfuggevolezza, nella oggettiva impossibilità di categorizzarlo. Mi piace pensare che tutte le pagine rappresentino un guizzo creativo, una rottura dei classici costrutti narrativi per realizzare un percorso che si riempie di mito e di realtà, di farsa e di leggenda.
Una sonnolenta società civile
Il racconto a posteriori delle bravate degli anni ’80, attraverso le parole di figure per molti aspetti epiche come Matt Stehnermeier, Germano Perazzi o Carletto Fontana; le incursioni cameratesche dei Mesuraca Boys o dei GPL; l’indignazione composta della sonnolente società civile svizzera verso delle intollerabili violenze: tutto conforta la lettura di questo trattato che sorprende senza un motivo evidente, che agguanta senza trattenere mai.
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