A proposito di Zeno Cosini e la storia del suo matrimonio, passaggio cruciale de “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo: un protagonista che, con le nozze, crede di guarire dalla malattia dolente che lo rende infelice, un incoerente che, tra mille giustificazioni, non impedirà mai alla vita di scegliere per lui, a cominciare dal rocambolesco fidanzamento. Un uomo nuovo, ancorato nei suoi dubbi, che si lascia sballottare dalla tempesta della casualità
In una società in cui il matrimonio è speranza e illusione di un completo rinnovamento interiore, Zeno Cosini, protagonista nevrastenico de La Coscienza di Zeno, pur demistificando il valore di tale unione e dichiarando, sempre col suo fare cinico e provocatorio, che, difatti, la vita insieme ci lascia immutati, ci racconterà le curiose (e a tratti bizzarre) vicende che lo hanno portato a innamorarsi di Ada, apparente antidoto alla sua malattia, per poi sposare Augusta, la sorella più brutta.
È con una precisa intenzione che il maldestro protagonista cerca di conquistare la bella Malfenti: egli è convinto che il matrimonio con lei possa guarirlo dalla malattia dolente che lo rende tanto infelice, la stessa che lo condurrà, anni dopo, dal suo perfido psicanalista: il dottor S.. La narrazione di queste peripezie si trova proprio ne La storia del mio matrimonio, terzo capitolo del romanzo e momento nevralgico per la comprensione dei mali che attanagliano l’io del personaggio principale. Non è un caso che proprio da questo momento i fatti dell’opera verranno trattati con una certa linearità cronologica, diversa dalle prime parti, dove regnava un principio più casuale. Da qui in poi, avendo conosciuto il resto dei protagonisti, vi sarà una sorta di consequenzialità tra gli eventi: il matrimonio, il tradimento della moglie, il lavoro e il definitivo autoesame degli anni più maturi del diario, coincidenti con quelli dei primi della grande guerra. La storia del mio matrimonio è un capitolo di svolta che si apre dopo il tragico evento della morte del padre, figura che cercherà di sostituire col suocero. Lo scrittore sceglie dunque un accostamento di due episodi apparentemente lontani per tema e per stile (uno più crudo e l’altro più ironico e umoristico) ma profondamente allacciati dalla costante incoerenza di Zeno che, tra mille giustificazioni, non impedirà mai alla vita di scegliere per lui.
La storia in breve
La vicenda muove i primi passi nel palazzo della Borsa di Trieste, il Tergesteo, dove, l’anno dopo la morte di suo padre, Zeno conosce Giovanni Malfenti, commerciante di successo e suo futuro suocero. La profonda ammirazione nei suoi confronti metterà fin da subito in risalto tutte le qualità di cui egli si sente privo. Il commerciante lo introdurrà poco dopo nella propria casa, fino a che la frequentazione non diventerà assidua e necessaria per la tranquillità di Zeno. Tra i Malfenti l’accoglienza è inizialmente calda e rispettosa, ed è proprio per questo motivo che il solo pensiero di allontanarsi dalla famiglia demolisce il giovane. Bisogna qui mettere in luce come Svevo, attraverso la voce del suo personaggio, non dimentichi di descrivere alcun dettaglio dei “rituali” borghesi che connotano la famiglia Malfenti, dai più evidenti a quelli più piccoli: alcuni esempi si possono rintracciare nel comportamento sempre controllato della suocera e nei dettagli che denotano il salotto “diviso dai mobili in due parti, come allora si usava”. Non saranno però le formalità a impedire al goffo protagonista di comportarsi in modo maldestro. Egli cercherà di puntare tutto sul suo carattere giullaresco, messo in scena con ironia e, quasi sempre, col gusto istrionico del ciarliero. Proverà una serie di tentativi fallimentari verso una donna per cui, come lui stesso dichiara, non riesce a spiegare «le origini miti di un sentimento divenuto poi tanto violento» poiché il colpo di fulmine che di solito stordisce gli uomini nella prima fase di innamoramento venne subito sostituito dalla convinzione che una relazione con lei lo avrebbe addotto alla salute. Lo scapolo dunque intrattiene con le quattro sorelle (tre delle quali in età di matrimonio: Ada, Alberta, e Augusta) lunghe conversazioni nel salotto della villa, che diverrà un vero e proprio teatro per i racconti sempre pieni di bugie e farlocchi aneddoti sulla sua vita. Al centro del salotto vi è un piccolo sofà troppo stretto per le sorelle ma che le incornicia perfettamente come in un dipinto, in un gioco di colori e sfumature in cui il pallore di Augusta che tiene in braccio la sorella più piccola, mette in risalto i toni più scuri delle altre. Non passerà molto tempo prima che l’umorismo dolceamaro di Zeno allontanerà l’amata e farà breccia nella sorella di cui non è riuscito a trovare nessun pregio. «Come avevano fatto a dirla bella?» addirittura racconta. La presenza di Zeno in casa tanto infastidirà Ada da spingerla ad evitarlo con delle scuse poco credibili. In seguito la madre, intuito il suo interesse per la bella figlia e non per quella più brutta, gli chiederà un congedo di qualche giorno. Cinque giorni strazianti, di incubi e paranoie per lo spasimante. Cinque giorni fatali per questa storia mai nata, dal momento che, al suo ritorno nella villa, troverà Ada ormai tutta presa da un altro uomo: Guido Speier, brillante e disinvolto violinista. Durante quello stesso giorno, i castelli di carta di Zeno perdono definitivamente le loro fondamenta. Dopo essersi riuniti tutti i membri della famiglia nello stesso salotto in cui Zeno tentò di conquistare il cuore di Ada con tutte le sue forze, Guido decide di deliziare i presenti con un’arma irresistibile: Bach. È proprio in questo passo che narratore esterno e protagonista interno si fondono, dando vita a un tipo di narrazione su più livelli: da un lato Zeno diarista che, con la sua penna acuminata, ricorda l’umiliazione provata in quel momento, e infine abbiamo lo Zeno del passato, nel presente degli eventi, che, inerme, nonostante la sua volontà ferrata, non riesce a non cedere al dialogo che la musica instaura con la propria intimità… ogni tentativo di ribellione e in seguito di critica nei confronti della performance sarà vano.
Si arriva alla sera, quella che potrebbe essere l’ultima per Zeno vista la presenza di un nuovo uomo tanto affabile in casa che da questo momento in poi diverrà, secondo gli schemi sveviani, suo antagonista. Intimorito dall’idea di esser cacciato ancora, questa volta definitivamente, il protagonista si dichiara ad Ada, da cui, prevedibilmente, sarà rifiutato. Zeno sta per uscire dal salotto, da quel teatro che mai avrebbe voluto abbandonare. Imperterrito, si propone anche ad Alberta che, cordialmente, declina il suo invito a nozze. Non resta nessuna scelta se non Augusta che, consapevole di essere tanto indesiderata quanto necessaria, vuole essere ciò di cui Zeno ha bisogno: una donna che voglia vivere con lui e che lo assista. Fu così che Zeno Cosini si fidanzò, «serio e triste», con una donna materna, accondiscendente e protettiva.
Inettitudini a confronto
La narrazione di questi eventi è decisiva nella definizione dell’ultimo inetto di Svevo, differente: siamo di fronte a un uomo abbandonato alla volontà altrui che nella sua ignavia non raggiungerà ciò che desidera ma plasmerà il proprio volere a seconda delle necessità del caso. Pur criticando aspramente l’unione tra marito e moglie così come i contemporanei lo intendono, finirà per rinchiudersi in un perfetto e cristallizzato matrimonio borghese con l’unica donna che non l’ha rifiutato e che però si rivelerà per lui la donna migliore, più affine alla sua instabilità nonostante le sue imperfezioni estetiche.
Il nostro matrimonio cominciò con una scoperta che mi stupì: io amavo Augusta com’essa amava me.(…)Ogni mattina ritrovavo in lei lo stesso commosso affetto e in me la stessa riconoscenza che, se non era amore, vi somigliava molto. Chi avrebbe potuto prevederlo quando avevo zoppicato da Ada ad Alberta per arrivare ad Augusta? Scoprivo di essere stato non un bestione cieco diretto da altri, ma un uomo abilissimo.
Nei suoi monologhi interiori, sempre composti e fondamentalmente logici, Zeno ci trasporta in uno spazio infinito di pensieri oscuri scanditi dalla percezione dei propri mali e soprattutto delle proprie debolezze. Zeno sa, soffre, ma non reagisce. Zeno riesce ad essere e non essere insieme in quanto è volontà pura mai compiuta. In questo flusso continuo, però, domina un ordine paratattico che accompagna il lettore senza farlo smarrire, a differenza di altri esperimenti del modernismo.
Svevo verso il romanzo contemporaneo
Indubbiamente un’analisi tanto specifica può essere realizzata solo grazie a una scrittura efficace e chiara, Svevo riesce a guidarci tra le controversie interiori di un personaggio che molto spesso cerca, apologeticamente, di giustificare le proprie intenzioni e gli atti che compie con l’occhio esterno di chi ha già vissuto quei giorni e che adesso, con più lucidità, si guarda indietro (e quindi dentro) e ne racconta. Come si legge, ad esempio, tra i passi conclusivi del capitolo, quando i due antagonisti Zeno e Guido si trovano nello stesso caffè dove la malattia cominciò a colpire l’inetto anche fisicamente, rendendolo fedele al dolore a seguito dell’incontro con l’amico d’infanzia Tullio, davvero malato di reumatismi.
Sapevo perché mi lamentavo: perché avevo voluto uccidere e forse, anche, perché non avevo saputo farlo. Il dolore e il lamento scusavano tutto. Mi pareva di gridare ch’io non avevo voluto ucciderlo e mi pareva di gridare anche che non era colpa mia se non avevo saputo farlo. Tutto era colpa della mia malattia e del mio dolore.
Il narratore in questo caso è extradiegetico anche se coincide con l’attore empirico che vive le esperienze nel romanzo. Fondamentale, inoltre, la scelta di un registro sincero e contestualizzato in una Trieste dell’inizio del secolo scorso, poiché ci lascia intendere l’importanza, ad esempio, di alcune distinzioni sociolinguistiche, dettagli come l’uso del tu rispetto al voi che fanno la differenza nei dialoghi.
Alla luce di quanto detto, per concludere, si potrebbe dire che Zeno Cosini sia un inetto nuovo rispetto ai protagonisti dei romanzi precedenti, tutti intenti a far funzionare, fallimentarmente, le loro vite. In questo caso ci troviamo davanti a un uomo nuovo, ancorato nei suoi dubbi che si lascia sballottare dalla tempesta della casualità, un uomo a cui, tutto sommato, la vita riserverà più fortuna che altro. Svevo si supererà anche dal punto di vista stilistico, in quanto non più estremamente legato alle minuziosità del naturalismo. Le descrizioni adesso sono più sensitive: comunicano perlopiù le percezioni di un primo impatto, senza tutti i dettagli, a volte superflui ai fini delle peripezie, della lente d’ingrandimento ottocentesca. Con questo andamento per temi e con lo stratagemma ecfrastico della pluralità delle penne che tessono la trama e la psiche di un uomo, lo scrittore de La coscienza di Zeno apre il secolo a una serie di novità che diventeranno le caratteristiche fondamentali del romanzo contemporaneo: la centralità della psicologia di un personaggio, la resa espressionistica del suo movimento interiore e la consapevolezza che esiste, tra realtà e immaginazione, un tempo sospeso in cui, l’uomo di tutti i tempi, si inabissa e perde la concezione reale di sé per aprirsi a quella dell’io sommerso dai propri dubbi. Senza mai perdere di vista il dramma in ognuno di noi, però, Svevo non dimentica di affrontare la tragicità del suo inetto con una pungente ironia, amara ma piena di sapore, che, temeraria e profondamente satirica, si erge, indifferente, rispetto al gioco aleatorio della vita.