“Il maestro e l’infanta” di Alberto Riva sembra un romanzo storico, ma tratteggia più che altro il rapporto fra due spiriti affini, il clavicembalista Domenico Scarlatti e la principessa portoghese Maria Bárbara, poi regina di Spagna. Legati da reciproci sostegno e ammirazione per gran parte della vita, sono raccontati in una storia di non detto dei silenzi e non visibile dei sentimenti, che trasmettono poesia e grazia
Il libro è “travestito” da romanzo storico, ambientato nel Settecento, e, dunque non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze. Piuttosto bisogna lasciarsi rapire dalle sliding doors della storia, dal senso di nostalgia da cui è pervasa, dalle rivoluzioni che racconta, dal virtuoso intreccio di letteratura e musica, campi d’attrazione da tempo per Alberto Riva, classe 1970, giornalista e scrittore. Ha due memorabili protagonisti il più recente romanzo di Riva, Il maestro e l’infanta (271 pagine, 18 euro), pubblicato da Neri Pozza. L’infanta Maria Bárbara di Portogallo e il suo precettore musicale, il maestro di cappella Domenico Scarlatti, napoletano, figlio d’arte geniale, misterioso e timido (che fugge dinanzi agli applausi), la cui missione principale, a detta del re lusitano Joāo V di Braganza, più che seguire i progressi musicali del fratello e del figlio, è quella di spazzare le velleità artistiche della primogenita Maria Bárbara. Le cose però andranno diversamente. E la giovanissima, non bella ma anticonvenzionale, sensibile e talentuosa, cambierà il corso delle cose. Lasciando il segno, più avanti, anche da regina di Spagna, consorte di Fernando di Borbone. Centinaia e centinaia di sonate al clavicembalo di Scarlatti hanno attraversato il tempo proprio perché lei volle che fossero rilegate e regalate a Farinelli, una delle più riuscite comparse di queste pagine.
Fra corti e taverne
Poco più che trentenne, Scarlatti giunge in Portogallo. Quella che sarà sua allieva per tutta la vita ha appena nove anni. Gli esercizi composti per lei diventeranno pezzi celebri che lo proietteranno nel futuro, facendolo diventare ancor più noto del padre Alessandro. Riva orchestra i capitoli con ipnotico equilibrio, dialoghi, descrizioni, pensieri, nulla ha il sopravvento, e deliziose sono le divagazioni dall’asse portante della storia: il lettore viene portato nelle taverne e in conciliaboli diplomatici, fra gitani e portuali. Emergono l’amore per la musica di due spiriti affini, l’ammirazione reciproca fra i protagonisti, intimamente malinconici, con Scarlatti consigliere dell’umana e illuminata futura regina spagnola che lo volle accanto a sé, quando abbandonò la casa paterna. Un legame lungo quasi quarant’anni, un’affinità artistica, reciprocamente riconosciuta, scandagliata dal punto di vista psicologico, una creatività, quella del compositore, esplosa negli anni vissuti all’estero, realizzata pienamente nel corso della maturità.
Fantasia e storia
Quello di Riva è un romanzo piacevole e intrigante da leggere, la storia di un sodalizio inquadrato con sguardo analitico e leggermente ironico, in cui il non detto dei silenzi e il non visibile dei sentimenti trasmettono poesia e grazia. La fantasia che l’autore innesta su fatti storici realmente verificatisi va di pari passo con un preciso e robusto andamento narrativo, che non ha cedimenti nei quaranta brevi capitoli più l’epilogo. Un’opera riuscita in cui spiccano con naturalezza, oltre al geniale clavicembalista sempre vestito di nero e alla nobildonna iberica, ciascuna delle figure in scena, anche tratteggiate per poche righe, perfino Renato de Souza, il pappagallo che abitualmente sta sulla spalla di Maria Bárbara e in qualche modo dice la sua nel corso delle lezioni che le impartisce Scarlatti.
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