Un romanzo storico che si fonda su due forti personalità, quella dell’imperatore russo Ivan IV, detto il Terribile, e il principe Nikita Romanovic Serebrjany, eroe positivo, coraggioso, innamorato platonicamente di una donna che poi prenderà i voti. È “Il principe Serebrjanyi” di Aleksej K. Tolstoj, classico nel solco dei grandi libri dell’Ottocento
Il romanzo Il principe Serebrjanyj (464 pagine, 14,50 euro) di Aleksej K. Tolstoj, riproposto dalla casa editrice Scrittura&Scritture, vide luce nel 1869 e da allora continua a suscitare un interesse così rilevante che ancora oggi si attuano ristampe e traduzioni dell’opera in varie lingue, come sostiene nell’appendice la traduttrice in italiano, Sabina Ferri. Il contesto del romanzo è storico, ma non solo, infatti anche alcuni personaggi lo sono e tra essi ad emergere in modo particolare sono: L’Imperatore Ivan IV e Nikita Romanovic Serebrjany, protagonisti entrambi, ma antitetici, infatti il primo si distinse nel male, al punto che gli fu dato l’attributo-sostantivato “il Terribile”, il secondo nel bene che, proprio perché tale, ieri come oggi resta invisibile e perciò non qualificato.
Tra bene, male e amore
Era il 1565, quando il principe Nikita tornò dalla Lituania, dove aveva combattuto per cinque anni e al suo rientro affrontò una realtà caratterizzata da sospetti e paure, a causa del clima di terrore instaurato dall’imperatore Ivan IV, ossessionato dalla paura di complotti e tradimenti: bastava un nulla, un evanescente sospetto perché a centinaia, anche persone a lui vicinissime, venissero giustiziate in teatrali scenografie del terrore, dopo aver subito atroci torture e, incredibile a dirsi, tutto ciò accadeva in un clima di cristianità bigotta che strideva fortemente con l’efferata crudeltà dell’imperatore che, non a caso perciò, ereditò quell’orrenda denominazione. Tuttavia al lettore tutto il pensare e l’agire dell’imperatore, non possono che suscitare pena, perché rivelano la personalità di un individuo continuamente in ansia, preoccupato di essere ucciso o semplicemente deposto, al di là dell’assoluta protezione offerta dalla milizia speciale degli Opricniki, al di là dell’assoluta sottomissione del popolo e della comunità nobile dei boiari, di cui faceva parte anche Nikita Romanovic Serebrjany, in precedenza definito protagonista del bene, perché ligio al suo dovere, non solo combatteva in nome dello zar, ma sapeva anche perdonare, dire con coraggio la verità, sì da indurre con il trascorrere del tempo, lo stesso Ivan a meditare e cambiare, ma soprattutto Nikita sapeva amare con un amore puro, intenso, casto, eterno la sua Elena, anche quando lei poi prese il velo.
Questa giovane donna è l’unico personaggio femminile del romanzo di Aleksej K. Tolstoj (cugino di secondo grado del più famoso Lev Tolstoj) e la sua storia d’amore, fatta di abnegazione e rinuncia è sicuramente antitetica alla storia della monaca di Monza, immortalata da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi.
Il romanzo si svolge con una strutturazione narrativa elaborata e complessa: fabula ed intreccio talvolta coincidono, tal’altra sono interrotti da flashback, sempre abilmente sviluppati, sì da consentire nel complesso il suo accostamento ad altri famosi capolavori narrativi della letteratura russa, quali Guerra e pace di Lev Tolstoj o Delitto e castigo e Umiliati ed offesi di Dostoevskij e, in genere, della letteratura europea dell’Ottocento.
Perdonare il despota?
Il narratore è eterodiegetico, ma nelle ultime pagine prende parola per dire al lettore come questi tristi eventi divennero leggenda, ma anche per asserire, a pagina 444, quanto segue:
Perdoniamo all’ombra colpevole dello zar Ivan, perché non fu il solo a creare arbitrii, torture, esecuzioni, false denunce, poiché si erano fatte cose tanto comuni da prendere forma di funzioni e di usanze. Fatti così rivoltosi non erano scoppiati d’un tratto, ma nascevano anzi da tempi ben più remoti e le coscienze di tanto s’erano avvilite, da potere tutto sopportare senza indignazione alcuna.
Ma è proprio così? Viene spontaneo chiedersi, infatti il lettore avveduto non può non rilevare come fosse logico e nello stesso tempo naturale che dopo secoli di dominio assoluto e dispotico, sopportato con paura ed amara sottomissione, il Novecento vide il diffondersi delle teorie sociali ed economiche di K. Marx e di F. Engels e il realizzarsi della Rivoluzione russa.
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