Muscas, il campione al tramonto e il calcio che sconvolge il cuore

Una commedia corale sul calcio, piena di amarezze, piena di personaggi vividi e speciali, come di comparse d’eccezione, in una Sardegna non magica, né arcaica. Ecco “Isla bonita” di Nicola Muscas, che racconta di una mitica stagione del Cagliari, in lotta per la zona Champions, grazie alle ultime magie del Gordo, sregolato talento uruguagio. E che, attraverso il pallone, racconta anche di tanto altro…

Ci sono tanti bei personaggi nel primo romanzo di Nicola Muscas, Isla bonita. Amori, bugie e colpi di tacco (327 pagine, 17 euro), pubblicato da 66thand2nd, espansione di un precedente racconto dell’autore. Muscas, una delle firme di Rivista 11 (uno dei pochi giornali per cui vale la pena ancora andare in edicola), dà vita a vividissime figure di carta: il Gordo, «per cui la Sardegna è una specie di Uruguay scagliato in mezzo al mare», beffardo campione sul viale del tramonto, con un passato al Barcellona, una passione smodata per le donne e il rum, la capacità di emozionarsi, nonostante tutto, giocando a calcio, gioco in cui «l’unica cosa che deve correre è la palla»; Firicano, ds dalle mille vite, «dal cervello veloce e dopato», capace di rubare al duty-free e in Vaticano, mercante di calciatore (e in passato di stupefacenti); l’addetto stampa Aresu, un’idealista, il medico sociale, il sabaudo Morelli, toccasana per molti, per corpi e anime, la giornalista Laura, alle prime armi ma bravissima (questi ultimi due alle prese con corrispondenze d’amorosi sensi, a cominciare da una citazione di Samuel Johnson, «La vera misura di un uomo si vede da come tratta qualcuno da cui non può ricevere nulla in cambio»).

Piccola malinconica epopea

Ci sono tanti bei personaggi (e belle comparse, da Gianni Mura a Papa Francesco, a Ilaria D’Amico e Gigi Buffon), che Muscas sa far diventare un romanzo gradevole, coinvolgente, ben scritto, in una parola riuscito, una piccola malinconica epopea. Cosa abbastanza complicata, perché fare letteratura con lo sport è roba di pochi eletti, con il calcio («questo gioco è capace di sconvolgerti il cuore anche quando non hai più nulla da chiedergli») ancor di più. Di mezzo c’è un club storico, il Cagliari, che già mezzo secolo fa era qualcosa di abissalmente lontano da qualsiasi idea di SuperLega, e che nelle pagine di Muscas si veste ancora di un’aura mitica.

Non solo pallone

La formazione sarda, soprattutto grazie al genio e alla sregolatezza dell’uruguagio Santiago Ramiro Rodriguez (fuori dal campo alle prese con debiti di gioco, guai immobiliari e con una tormentata vita sentimentale e sessuale) più che alle alchimie dell’allenatore, Tagliaferro, lotta per un piazzamento in Champions, qualcosa di inaudito in mezzo alle grandi corazzate. Il risultato è, in una Sardegna lontana da certi stereotipi mitico-arcaici, una commedia corale piena di amarezze, di angoli non smussati, di figure spesso irrisolte, non solo il calciatore che ha sprecato molto del suo talento e che è un coacervo dei tanti campioni perduti o mai davvero sbocciati del mondo del pallone. Il calcio non sovrasta altri temi, quello fortissimo delle relazioni sentimentali, specie fragili, degli amori difficili, e delle derive del giornalismo odierno, che deforma, distorce spesso, trasforma voci e pettegolezzi in notizie.

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