“Il Libro di tutti i libri” nuovo protagonista della rubrica Area 22: è un’altra delle opere miracolose di Roberto Calasso, impasto di racconto e pensiero, tra assonanze, echi, rivelazioni. Stavolta lo sguardo di Calasso è puntato su alcune storie bibliche, un viaggio immaginifico fra la scrittura della Torah e la sua riscrittura…
Roberto Calasso giunge, con Il Libro di tutti i Libri (Adelphi, 555 pagine, 28 euro), al decimo volume di una serie iniziata nel 1985 con La rovina di Kasch. Tra loro, Le Nozze di Cadmo e Armonia (libro indispensabile), K, La folie Baudelaire, Il cacciatore celeste, per citarne alcuni. Libri indefinibili, se si cerca di racchiuderli nei limiti dei generi letterari, opere miracolose, se si riesce a tuffarsi in quell’impasto di racconto e pensiero che Calasso crea, volta per volta, partendo da un tema chiave e scorrendo di passaggio in passaggio per assonanze, echi, rivelazioni. Ogni volume ruota su un argomento preciso, ma alcuni temi si rincorrono e ritrovano in tutti i 10 testi.
Il Libro di tutti i Libri è la Bibbia, secondo una definizione di Goethe, riportata in esergo all’opera. Ma l’espressione richiama anche alla forma classica, appunto biblica, del superlativo, per cui il Cantico dei Cantici è il più bello e grande dei cantici, il Sancta Sanctorum il più sacro dei luoghi sacri, il Re dei Re il più grande dei Re. Dunque Libro di tutti i Libri è il libro più grande, il più importante, il più perfettamente e compiutamente Libro di tutti i libri esistenti.
Fuoco nero su fuoco bianco, la scrittura
Nemmeno il Libro dei Libri, però, può bastare a se stesso, perché nessun libro è solo ciò che contiene, ma anche ciò che sprigiona, e perfino un libro come la Bibbia ha qualcosa che resta fuori, eppure lo completa. Inizia, così, il percorso vertiginoso, ancora una volta, di Calasso. Con le prime pagine che non sono dedicate alla creazione, ma a ciò che c’era prima della creazione, e dopo il libro. Perché è in un testo del Midrash, la tradizione ebraica dei commentatori dei testi sacri, che viene raccontato l’episodio con cui ha inizio il Libro dei Libri. Prima della creazione, con Yhwh, c’era sua figlia, era Torah, la legge, e Hokhmah, la Sapienza. Novecentosessantaquattro generazioni prima che il mondo fosse creato (si può contare il tempo prima della creazione, quando il racconto è meraviglioso) veniva scritta la Torah. Con fuoco nero su fuoco bianco. Eccolo, il big bang da cui tutto inizia, la materia incandescente che dà l’origine a tutto, il fuoco nero che scrive su fuoco bianco. La scrittura. Prima della creazione, l’ordine della Sapienza e della Legge, la misura e il disegno. Questa è la Genesi di Calasso, che si intreccia con la conclusione delle Nozze di Cadmo e Armonia, in cui gli Dei donavano a Cadmo le lettere dell’alfabeto e ad Armonia un gioiello raffigurante il kosmos, cioè bellezza, universo, ordinamento e ornamento. Ancora una volta, al centro di tutto, le lettere, in questo caso le seicentomila lettere che giacciono davanti a Dio, e combinandosi daranno vita alla Legge, dunque all’ordine del mondo vivente, ed ogni frase composta da Yhwh conterrà la parola Morte. Finché giungerà il tempo del Messia.
La forza narrativa della Bibbia
Il Libro di tutti i Libri vive tra questi due estremi, della Torah e del Messia, in mezzo lo scorrere inesauribile di racconti, donne, uomini, popoli, alleanze. In questo percorso, Calasso sceglie, nella strabordante materia narrativa della Bibbia, solo alcune storie, segue un filo con cui tesse alcuni significati fondamentali, quelli cui vuole portare il lettore, ed apre interrogativi, ulteriori spazi di riflessione e ricerca, dimostrando ancora una volta che ogni vero libro non finisce mai, nel tempo e nello spazio. Innanzitutto Calasso vuole sottolineare proprio la forza narrativa della Bibbia, la centralità del racconto a dispetto dell’interpretazione. Insiste allora sulla meraviglia degli episodi, sulla loro varietà, sulla complessità dei personaggi, soprattutto se presi nell’insieme, cioè come tasselli di un enorme quadro della vicenda umana.
La colpa? L’imitazione
Partendo dalla storia di Saul, seguendo la linea regale da Davide a Salomone, le vicende di ciascun uomo sono anche la Storia di un popolo, e il dialogo ininterrotto con Dio. Un dialogo che insiste su un tema chiave, l’unicità e la sostituibilità. L’autore ribadisce quasi in ogni passo, in ogni capitolo del libro, che il precetto del Dio biblico è in primo luogo la sua unicità, da cui discende pressoché ogni legge. Il divieto di innalzare immagini, la lotta senza quartiere con gli altri popoli, che invece pretendono di potere abbassare la divinità al livello della replicabilità molteplice. A proposito del racconto della Genesi, in un passo del nono capitolo, Calasso richiama il giudizio del biblista Cassuto, secondo il quale l’unico elemento che differenzia la storia della Creazione biblica rispetto ai tanti miti simili dei popoli mediterranei è la colpa, la trasgressione, il castigo dell’uomo. L’unica cosa che la genesi biblica non ha in comune con gli altri miti cosmogonici. E la colpa, sostiene Calasso, altro non è che l’imitazione. “Eritis sicut dii”. L’uomo, che d’altronde Elohim crea a sua immagine, iniziando Lui Stesso l’atto della riproduzione e dell’imitazione, l’uomo fatto di imitazione e ad imitazione, deve astenersi dall’imitare Dio, dal farlo volontariamente.
La legge del primogenito? Violata
Sostituibilità e unicità sono inestricabilmente collegati al tema dell’elezione. L’elezione dei Patriarchi, ad esempio, e quello dello stesso popolo ebraico. Cosa giustifica il fatto che ci siano uomini scelti da Dio per la salvezza? Quale caratteristica possiedono per meritarsi tale privilegio? Quale merito? Nessuno, risponde Calasso. Proprio ciò rappresenta l’unicità di ciascun essere vivente e la grandiosità della nostra storia. Con innumerevoli esempi l’autore dimostra che il Dio della Bibbia viola costantemente la legge del primogenito, opera con determinazione per dimostrane l’inattendibilità, da Abele a Giacobbe a Giuseppe, per fare solo alcuni esempi, non serve essere il primogenito per acquisire il diritto a muovere la storia, questo significa che esiste un principio di scelta e la storia non procede per leggi automatiche. Non a caso è il racconto di Saul e della sua inspiegabile elezione divina, e poi di Davide, a dare il via al racconto del Libro, come dicevamo.
Le mille omissioni
Eppure ci inganneremmo se pensassimo che la legge arcaica, patriarcale ed automatica del primogenito è sostituita da una legge basata sull’elezione del merito, perché invece la straordinaria contraddizione su cui Calasso insiste in più passi è che Dio non sceglie l’uomo più meritevole, anzi è addirittura impossibile comprendere la ragione della scelta di un uomo piuttosto che di un altro. L’esempio più chiaro è Abramo, del quale nulla si sa, fino al momento della sua chiamata divina, e nulla giustifica e spiega perché proprio lui diventi il principio della storia di Israele. Un uomo come tutti gli altri. È la scelta di Dio a trasformarlo, e questa scelta non è intellegibile. D’altronde, dal tema della sostituzione di Criseide e Briseide partiva proprio Le Nozze di Cadmo e Armonia, e sulla forza sacra della copia si interrogava, quando raccontava dell’impresa di Ulisse e Diomede alla ricerca del Palladio, e della sostituzione del rito al gesto della caccia parla Il cacciatore celeste. Ancora una volta i libri di Calasso si intrecciano e ci avvolgono.
C’è, molto spesso, qualcosa che manca, nel racconto biblico, o qualcosa che sembra mancare, ai nostri occhi. Su questa crepa Calasso orienta la luce della sua lettura. Le mille omissioni che ci costringono a immaginare, a colmare le vicende interrotte dei personaggi, le scene dei fatti, sono un tratto costitutivo della Bibbia, sostiene Calasso. Occorre interrogare i silenzi del testo biblico, come spazi generativi di sapere, spazi in cui rispecchiarsi, in cui contribuire alla Parola ed alla creazione, che di parole di nutre.
Parole e sangue
Ma attenzione, a considerare le parole il deposito assoluto del divino, il punto di incontro tra Dio e Uomo. Le dieci parole, quelli che noi comunemente chiamiamo Dieci Comandamenti, furono consegnate a Mosè, a sigillo di un’alleanza, iniziata con la chiamata di un rovo ardente (il fuoco nero su fuoco bianco con cui si scriveva la Torah ritorna, e parla). Quando Mosè consegna la Legge, trascritta in Libro, perché i sacerdoti la leggessero, ininterrottamente, deve compiere un altro gesto, perché l’alleanza sia davvero completa: asperge il popolo con il sangue, “Ecco il sangue dell’alleanza che Iahvè ha concluso con voi secondo tutte queste parole!”. Sangue e parole, perché nessuno dei due elementi, da solo, è sufficiente. Il sangue completa la parola, perché nel sangue è il vivente. Corpo, vita, parola, sono un altro intreccio ricorrente nei testi di Calasso. Nella conclusione della Folie Baudelaire, ad esempio, c’è la letteratura che convalida la vita, e la madre di Charles Baudelaire prende coscienza dell’esistenza di suo figlio solo quando legge la lettera di condoglianze di Sainte Beuve. Come se solo ciò che entra nella parola e ne esce può essere vero. L’attenzione di Calasso alla fusione di sangue e parola segna anche la sua caratteristica più grande di scrittore, cioè quella di fare del testo un organismo vivente, trattarlo come materia che scorre inesauribile.
La storia riformulata
Il sangue è il vivente, ciò che sancisce la parola con la forza della vita, ma è anche l’impuro, perché si ottiene con l’uccisione, con il taglio. Giunge così l’ultima, strabiliante, definitiva, sostituzione, che riscrive le lettere della Torah, riformula la storia. Dio si sostituisce alla vittima, il suo sangue a quello sacrificale. Il cerchio si chiude, nelle ultime pagine, intitolate Il Messia. Di nuovo la Torah, un insieme di lettere, nient’altro che questo, le seicentomila lettere che giacciono davanti al signore. Il regno messianico è la possibilità di ricomporre le seicentomila lettere, togliendo la morte da ogni frase. Il libro intero si chiude con l’affermazione che la più precisa frase messianica è: “tu che fai rivivere i morti”.
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