Viet Thanh Nguyen rilancia il protagonista dai due volti de “Il simpatizzante”, con cui ha vinto il Pulitzer, e con “Il militante” scrive uno stravagante thriller letterario, fra satira politica e conflitti di identità. La scena è in Francia, dove il Capitano – uniche certezze il nulla e la rivoluzione – fa parte di una banda di spacciatori in lotta con un’analoga cricca di algerini…
Un evento, una buona notizia per la letteratura statunitense. Ecco cosa è Il militante (429 pagine, 19 euro) di Viet Thanh Nguyen, tradotto dall’eccellente Luca Briasco, in Italia proposto dalla casa editrice che ha subito creduto in lui, Neri Pozza. Semplificando se ne parla come del sequel de Il simpatizzante, ormai un classico, capolavoro di lunghissima gestazione, romanzo di debutto che è valso il Pulitzer 2016 all’autore. Nel precedente romanzo Viet Thanh Nguyen metteva in scena le tragicomiche avventure del protagonista dai due volti (aiutante di campo del capo della polizia del Vietnam del Sud e spia per i vietcong comunisti) in fuga dal Vietnam e giunto da Saigon a Los Angeles, dove finiva per essere animato da un sentimento ambivalente, di amore e odio per tutto ciò che è smaccatamente a stelle e strisce.
Attrazione e disprezzo per la Francia
Più che una spy-story stavolta leggiamo un thriller letterario, zeppo di citazioni più o meno evidenti, da Greene a Simenon, da Gramsci a Sartre, a Marx. Adesso Viet Thanh Nguyen riprende le fila spedendo, nell’estate 1981, il Capitano (questo il nome del protagonista che è figlio di una giovanissima vietnamita, morta prematuramente, e di un sacerdote francese) a Parigi, con l’amico Bon. Il passaporto dovrebbe destar sospetti, ma chi lo controlla non sa che Vo Danh vuol dire Anonimo. Nella capitale francese (comparse Pol Pot e Ionesco), dove lo ospita una fantomatica zia (vita lasciva e sguardo piuttosto venale sulle cose del mondo), finisce in una cricca di piccoli delinquenti: smerciano cocaina e fanno i conti con un’analoga banda concorrente, composta da algerini. Se la loro lotta si prenderà gran parte della scena – niente eleganza, niente Parigi da cartolina – non mancherà di emergere il triangolo fra il Capitano, Bon e Man, ovvero i suoi amici e fratelli di sangue da sempre; Bon (dopo la tragica morte di moglie e figlio) è sempre determinato a uccidere comunisti, senza sapere di averne uno, il suo migliore amico, al fianco. Ambivalente è anche l’attrazione dei vietnamiti e del protagonista nei confronti della Francia: attrazione che finisce per essere disprezzo, un’ambigua eredità di ogni forma di colonialismo, come quello subito dal Vietnam.
Una goffa tragicommedia
Anche questo libro di Viet Thanh Nguyen è una speciale goffa tragicommedia, a tratti stravagante e inverosimile, fra cerebrale satira politica e smarrimento di un’identità conflittuale. Con poche, pochissime certezze: il nulla, da preferire ai fallimenti del capitalismo e del comunismo, e il principio della rivoluzione, naturalmente declinato in certi termini.
… l’unica rivoluzione alla quale puoi essere devoto è quella che ti permette di ridere a crepapelle, perché il crollo di ogni rivoluzione avviene quando la rivoluzione perde il senso dell’assurdo. Anche questo fa parte della dialettica: prendere sul serio la rivoluzione ma non i rivoluzionari, perché quando i rivoluzionari si prendono troppo sul serio, finiscono per tirare fuori la pistola al primo motto di spirito…
Il ritorno dello scrittore vietnamita naturalizzato statunitense riesce ad essere esilarante e profondo. Ancora una volta, e si poteva intuire dai suoi straordinari racconti (ne abbiamo scritto qui), pubblicati dopo Il simpatizzante, Viet Thanh Nguyen svetta e vivifica certa la più recente narrativa statunitense, colpita da una certa omologazione.
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