“La sete” di Marie-Claire Blais disegna un affresco universale, con un perenne flusso di azioni e personaggi. Tutto inizia con un raduno, sul mar dei Caraibi, per festeggiare la fine del ventesimo secolo e la nascita di un bimbo. In scena, fra ossessioni e malattie, angeli e demoni, artisti e profughi…
«… libro unico è quello dove subito si riconosce che all’autore è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in uno scritto». Con queste parole, ne L’impronta dell’editore, Roberto Calasso ha spiegato l’idea che uno dei fondatori, Bobi Bazlen, aveva per l’anima di Adelphi. Evoluzione della sigla milanese a parte, nel 2021 se c’è una casa editrice che sta dimostrando come si fa a pubblicare libri unici è la friulana Safarà. Qualche esempio in fila? Le pianure di Gerald Murnane, L’ospite e altri racconti di Amparo Dávila, ma soprattutto Lanark di Alasdair Gray e Jón di Ófeigur Sigurðsson. E adesso La sete (336 pagine, 19,50 euro) di Marie-Claire Blais, grande scrittrice in lingua francese del Quebec, tradotta da Federica Di Lella.
Un vecchio millennio, una nuova vita
Marie-Claire Blais, oggi ultraottantenne, è consacrata scrittrice di culto e di sostanza e questo suo primo romanzo che appare in Italia è l’avvio di un ciclo di dieci titoli, che l’autrice canadese (francese di lingua, decisamente nordamericana nello sguardo, carica di riconoscimenti) ha pubblicato dal 1995 al 2018. Scrittura sperimentale, lettura non facile, Virginia Woolf come dichiarato punto di riferimento, Marie-Claire Blais non teme di sciorinare un’opera visionaria e corale, di lunga gestazione, ambientata nel dicembre 1999, con le voci di una variegata umanità che sembrano reggerne una sola, in cui il lettore, specie inizialmente, fa fatica a raccapezzarsi e ad attribuire parole e pensieri, nel perenne flusso d’azioni messo in scena, a un personaggio o all’altro dei tanti radunati in una sfarzosa villa con vista sul mar dei Caraibi (luogo in bilico tra totale ricchezza e disperata povertà), dove si celebra la conclusione dello scorso millennio e la nascita di un bimbo, Vincent, anzi i suoi primi dieci giorni di vita.
Scrittrice di nessuna paura per lettori coraggiosi
La sete del titolo è brama di piacere e rivolta, di certezze contro l’irrequietezza, di redenzione dei peccati e, principalmente, di giustizia. Marie-Claire Blais (sovversiva per linguaggio e temi alla fine degli anni Cinquanta, placida candidata al Nobel da tempo) cuce addosso ai personaggi, quanto mai diversi fra loro, certe ossessioni: si pensi all’angoscia che la condanna a morte di un uomo di colore lascia addosso – nonostante il contesto festaiolo – al giudice Claude ma soprattutto a sua moglie Renate, avvocato alle prese con una malattia; entrambi invitai da Daniel e Mélanie, i padroni di casa, lui scrittore. L’affresco universale tratteggiato da questa scrittrice, che da decenni ha deciso di vivere in Florida, prende di petto corpo e spirito, tensioni e pacificazioni di anziani e giovani, malati e medici, angeli e demoni, artisti e profughi. Paragonata da taluni perfino a Dante e Shakespeare (chi scrive non conosce abbastanza il corpus della su opera per pronunciarsi a sua volta), piuttosto influenzata da Kafka (che cita a profusione), Marie-Claire Blais di sicuro non ha nessuna paura nel cercare una voce originale, ardita, e nel raccontare col proscenio che si inventa gioie e catastrofi di un secolo intero. Una scrittrice che merita di avere accanto lettori curiosi, pieni di passione e coraggio.
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