Un hard boiled mozzafiato che cattura i lettori e la cui trama si basa su un gioco delle duplicazioni. È “L’anomalia” di Hervé Le Tellier, libro che ha vinto il Goncourt 2020. Che tipo di romanzo è? Lo si evince da più di un indizio che l’autore lascia fra le pagine…
Proponendomi la massima diligenza nel non rivelare il benché minimo dettaglio di una trama che il lettore merita di scoprire tutta da sé, la strategia più proficua per approcciarmi a L’Anomalia (368 pagine, 20 euro) con cui Hervé Le Tellier si è aggiudicato il premio Gouncourt 2020, tradotto da Anna D’Elia e pubblicato in Italia da la Nave di Teseo, è procedere per inquadramento in categorie generali. Le prime che mi vengono in mente sono: page turner e hard boiled. Con buona pace di chi sarà infastidito dal tripudio di anglicismi e più ancora dall’uso di etichette, sono convinta che l’escamotage regga e le due definizioni siano le più appropriate per dare, a chi vorrà accogliere questo suggerimento di lettura, una idea fulminea del tipo di romanzo in cui sta andando a cacciarsi.
«Un vuoto d’aria che non finiva più»
L’anomalia è infatti un libro che, una volta aperto, si fa fatica a lasciare – page turner, appunto – così, in men che non si dica, rinunciando magari ad una notte di sonno, lo si è bello che finito. Il merito va, indubbiamente, all’attacco, degno di un grande mistery, e se è lo stesso autore a citare Mickey Spillane in corso d’opera, beh! allora anche io posso parlare di hard boiled, genere alla cui creazione Spillane contribuì.
Quando l’ho iniziato ero reduce dalla lettura di due precedenti romanzi con personalità – se così si può dire – molto forti: Il Silenzio, l’ultimo di Don DeLillo e Catch 22 di Joseph Heller. Sarà che mi riverberavano entrambi ancora in testa, ma nel momento in cui Le Tellier mi ha messo alle calcagna di Blake, il primo protagonista ad essere introdotto nella narrazione, inizialmente infiltrandomi nella sua mente, poi sedendomi al suo fianco in aereo, durante «un vuoto d’aria che non finiva più», mi sono goduta ancora un po’ la scia e del racconto di DeLillo (anche qui la trama si annoda sull’avventura capitata durante un volo di linea) e dell’atmosfera leggera – quasi nonsense – di Comma 22.
OuLiPo e recensioni olografe
Non si può leggere L’anomalia prescindendo da alcuni elementi del profilo del suo autore che contribuiscono ad inquadrare le soluzioni tecnico-stilistiche praticate nel romanzo. Hervè Le Tellier, scrittore, poeta e linguista, è membro dell’OuLiPo, “officina di letteratura potenziale” fondata da Queneau e Le Lionnais, di cui fu membro anche Italo Calvino, gruppo che si propone di ricercare, attraverso la scrittura vincolata, nuove strutture e schemi che possano essere usati dagli autori nella maniera che preferiscono. Un dettaglio che restituisce a Le Tellier – qualcuno potrebbe considerare «poco letterario» il primo capitolo – i giusti meriti: egli «può dare – infatti – l’impressione di improvvisare, ma in realtà pratica la riflessione. I suoi libri sono sempre ben costruiti, scorrevoli e insieme molto ben scritti, mai davvero uguali». Dal virgolettato si evince che l’ultimo periodo non sia farina del mio sacco. È da tempo che pratico, nei romanzi che leggo, una particolarissima forma di caccia al tesoro. In mancanza di definizioni, ho chiamato l’oggetto della mia ricerca “recensione olografa”: si tratta di autovalutazioni di cui gli autori, più o meno inconsciamente, disseminano i loro scritti. Quello riportato ne è un chiaro esempio. Le parole messe in bocca ad uno dei personaggi de L’anomalia, pur riferendosi ad un romanzo dallo stesso titolo, centrale nell’economia del libro – probabilmente deputato ad ampliare il dominante gioco delle duplicazioni su cui si basa la trama – costituiscono una valutazione perfettamente calzante alle abilità di Le Tellier. Così come il successivo parere, formulato dallo stesso soggetto, che precisa ancor meglio le caratteristiche del testo: «È uno strano libro dal ritmo incalzante, da cui non si riesce a straccarsi, e poi riconosce in filigrana tutto quanto ha influenzato (l’autore), da Jankélévitch a Camus, a Gonĉarov e a tanti altri. Un testo cupo, privo di distacco, in cui persino l’irrisione si fa dolente».
Il lettore e il duplicato di sé
Me la sto cavando egregiamente – lo dico senza falsa modestia – con gli spoiler. Continuo allora – tacendo quanto più mi è possibile, convinta che al lettore necessiti la dirompenza dell’effetto a sorpresa per trarre le proprie conclusioni – ad utilizzare solo gli easter eggs-recensioni olografe raccolti tra le pagine. Le Tellier «se ne infischia che una prosa fiammeggiante emerga dal puro “librarsi della penna sulla pagina”, e non crede di essere “onnipotente dinanzi alla frase”». Egli «osserva tutte quelle esistenze sperse, tutte quelle ansie semoventi senza sapere a quale affezionarsi. Si abbandona alla fascinazione per delle vite che non sono la sua. Vorrebbe sceglierne una, trovare le parole giuste per raccontare quella specifica creatura (…) E poi passare ad un’altra. E poi un’altra ancora. Tre personaggi, sette, venti? Quanti racconti simultanei accetterebbe di seguire il lettore?». Il lettore non è una creatura docile. Si fa ammaliare e ammansire solo dalla qualità di ciò che gli viene proposto. Beh! In questo caso Le Tellier può permettersi non solo di moltiplicare i personaggi, ma escogitare un’anomalia che, distorcendo la realtà, li duplichi perfino, senza perdere sostenitori.
Una concessione, un’unica anticipazione di un dettaglio della trama, a questo punto me la accordo anche io. C’è un capitolo in cui chi legge è a tal punto assoggettato al racconto da essere obbligato al cospetto del suo doppio. Non ad immaginarsi dinanzi ad un altro sé astratto. Non a pensarsi difronte ad uno specchio mentre interagisce con la sua immagine speculare. È posto proprio, attraverso un’inevitabile attività di proiezione, davanti ad un duplicato di sé. Ed è un momento del romanzo potentissimo e pauroso insieme, che da solo vale – come si dice – il prezzo del biglietto.
Una storia mozzafiato, quella di Le Tellier, con un finale sorprendente. Si vocifera che possa diventare una serie. Fossi in voi lo leggerei prima che la trasposizione televisiva tarpi le ali alla vostra fantasia.
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